Rabelais – Come, in alto mare, Pantagruele udì varie parole sgelate

In pieno mare, banchettando noi, sgranocchiando, chiacchierando e facendo belli e brevi discorsi, Pantagruele si alzò e si tenne ritto per scrutare all’intorno. Poi ci disse:
«Compagni, sentite niente? A me sembra di udire persone che parlano in aria, eppure non ci vedo nessuno. Ascoltate».

Al suo richiamo noi stemmo tutti attenti, e annusavamo l’aria a piene orecchie come tante belle ostriche a valve aperte, per sentire se non ci fosse sparso suono o voce alcuna; e per non perderne niente, sull’esempio di Antonino Imperatore, alcuni apponevano le mani a palma aperta dietro le orecchie. Ciò nondimeno protestavamo di non sentir nessuna voce.

Pantagruele continuava affermando di udire voci diverse nell’aria, sia di uomini che di donne, finché ci risultò, o che le sentivamo anche noi, o che ci fischiavano le orecchie. Più perseveravamo ascoltando, e meglio discernevamo le voci, fino ad intendere parole intere. Il che ci spaventò grandemente, e non senza ragione, non vedendo nessuno e sentendo voci e suoni così diversi, d’uomini, di donne, di fanciulli, di cavalli: tanto che Panurge esclamò:

Panurge«Saccobìo, ma vi pare uno scherzo? Noi siamo perduti. Fuggiamo: c’è qualche imboscata qui intorno. Fra’ Giovanni, amico, sei qui? Tieniti vicino a me, mi raccomando. Hai il tuo pistolese? Bada bene che non resti impigliato nel fodero, di solito lo lasci arrugginire. Siamo perduti. Sentite: per Dio, sono colpi di cannone! Fuggiamo! Non vi dirò coi piedi e con le mani, come diceva Bruto alla battaglia di Farsalo: dirò a vele e a remi. Fuggiamo. Io sul mare non ho niente coraggio. In cantina o altrove, ne ho quanto un altro e anche più. Fuggiamo, salviamoci! Non lo dico perché io abbia paura, perché io non ho paura di niente fuorché dei pericoli. Io dico così per abitudine, come il Franc’arciere di Baignolet. Attenti però a non suonar niente, per non restare suonati. Su, andiamo, dietrofront! Gira la sbarra, figlio di puttana! Piacesse a Dio he io in questo momento mi trovassi in Quinquenays, sotto pena di non sposarmi più! Fuggiamo, non siamo abbastanza per loro: saranno almeno dieci contro uno, ve lo assicuro. Tanto più che si trovano in casa loro, e noi non conosciamo il paese. Ci ammazzeranno; fuggiamo, non sarà già un disonore: Demostene dice che un uomo che scappa è buono per un’altra volta. O ritiriamoci almeno: ohè, orza, poggia, al trinchetto, alle boline, o siamo morti! Fuggiamo per tutti i diavoli, fuggiamo!».

Pantagruele, sentendo lo scandalo che faceva Panurge, disse:
«Ma chi è quel fuggiasco laggiù? Vediamo prima di che gente si tratta. Forse saranno dei nostri. E ancora non vedo nessuno! E sì che vedo cento miglia all’intorno. Ma stiamo a sentire. Ho letto che un filosofo chiamato Petrone era dell’opinione che ci fossero parecchi mondi che si toccano tra loro in figura di triangolo equilatero, nella base e centro dei quali diceva risiedere la casa della Verità, e ivi abitare le Parole, le Idee, gli Esemplari e i Modelli di tutte le cose passate e future, intorno alle quali sta il Secolo.

«E che in certi anni, a lunghi intervalli, una parte di loro cade tra gli umani come catarri, e come cadde la rugiada sul tosone di Gedeone, mentre l’altra parte resta là di riserva per l’avvenire fino alla consumazione del Secolo.

«E mi ricordo anche che Aristotele sostiene le parole di Omero essere volteggianti, volanti, semoventi, e di conseguenza animate.
E ancora Antifane diceva che simile era la dottrina di Platone sulle parole, le quali in certi paesi, nel tempo del più forte inverno, allorché vengono profferite, gelano e ghiacciano al freddo dell’aria, e non son sentite; e allo stesso modo quel che Platone insegnava ai fanciulli, veniva appena compreso quando essi erano diventati vecchi.

«Ora sarebbe da filosofare, e ricercare se, per un caso dei casi, non fosse qui il posto dove quelle tali parole disgelano. Sarebbe una bella sorpresa, se fossero la testa e la lira di Orfeo!
Perché dopo che le donne di Tracia ebbero fatto a pezzi Orfeo, esse gettarono la sua testa e la sua lira nel fiume Ebro. E quelle lungo il fiume scesero nel mare Pontico, fino all’isola di Lesbo sempre galleggiando sul mare insieme; e dalla testa continuamente usciva un canto lugubre come lamentando la morte di Orfeo, mentre la lira, muovendosi per l’impulso dei venti, accordava armoniosamente le corde col canto. Guardiamo se non le vediamo qui vicino».

((Rabelais, Gargantua e Pantagruele, 4: 55)