Amleto usava sedersi presso il fuoco e, raccogliendo insieme le braci con le mani, foggiare dei legni adunchi, indurirli nel fuoco e formarvi alle due estremità certi uncini per farli aderire più saldamenti ai loro attacchi.
(Saxo Grammaticus)
Insomma, Amleto stava affilando le armi della vendetta? O vedeva dinanzi a sé solo il futuro di Capitan Uncino? Solo l’ostinata Catena dei Torti e delle Vendette?
Se c’è qualcosa di «archetipico» [lo so, è una brutta parola, ma non ne trovo al momento una di meglio], qualcosa di «originario» nel Personaggio di Amleto, qualcosa che attraversa tutte le varianti (narrative e teatrali) della sua leggenda – forse è proprio nella forma adunca degli uncini che affilava, che se ne trova una traccia.
Qualcuno ha detto che dal cuore di chi prega il Buddha Amitâbha, il Signore del Paradiso d’Occidente, a volte succede che spunta un uncino di luce, la cui punta ricurva, volta verso l’alto, va ad aggrapparsi nel foro della «fontanella» sulla sua testa, e come una calamita ne attrae il punto di luce bianca, il sems, «richiamando» così il cuore alla sua Fonte [al cervello che è nel capo].
Fu con un amo a uncino che Maui ripescò la casa che s’era inabissata in quel tratto di mare che i Maori chiamano il «Profondo Giù».
L’uncino è il primo «angolo» del mondo, è la «curvatura dello spazio-tempo» nella lingua del mito.
E tutto lascia credere che il Signore dell’uncino, il Fabbro mitico che in illo tempore disegnò la curva della discesa lungo la quale doveva scorrere il fiume del Tempo, fosse il pianeta Saturno.
I Greci lo chiamavano ankylométes o ankylométis, parola che i traduttori rendono perlopiù con «colui che ha pensieri tortuosi». Ma più che di «pensieri», dovrebbe trattarsi di «sentieri».
Il Signore del Ciclo Trentennale fu il primo a tracciare la curva che doveva disgiungere l’Altro dal Medesimo.
Saturno era il Signore degli angoli. Se da un lato per tracciare il cerchio ideale (l’ottavo cielo «delle stelle fisse») bisogna agganciare il compasso a mo’ d’uncino al fuso di Ananke, dall’altro a dettare la lunghezza della corda è Saturno, il primo pianeta, il primo errante (il settimo cielo: il Maestro di Parola), perché lui è il fabbro che fabbricò la prima distanza, la prima deviazione, la prima curva che «alterò» la retta via delle stelle, facendole sbandare fuori della Via Lattea.
Saturno era il Signore dei «quattro angoli» del mondo nell’Età dell’oro. Il Signore degli «angoli aurei» della prima Quadratura del Mondo. O, come vuole la tradizione, il Signore del Cubo.
Ogni «faccia» di questo Cubo è una superficie quadrata. Una delle sei è quella che «cade» nel Cuore dell’Uomo.
Saturno, come l’Adamo gnostico, è dannato all’«esilio» per aver dato ascolto alla Fame, e per aver mangiato un «cibo» da cui avrebbe fatto meglio ad astenersi.
Oh, mamma, ho fatto un brutto sogno, stanotte!
Cos’hai sognato, figlio mio?
Ho fatto un incubo. Ho visto qualcuno entrare, con la tua complicità, nella Sala del Trono. E l’ho visto pugnalare alle spalle il Re, mio padre. E ho udito te che strillavi: «Affonda il colpo!».
Non era un pugnale, non una spada e nemmeno un coltello – che il traditore impugnava. Era una falce di luna, o forse il becco di un’aquila. Era tagliente, sottile, penetrante. E tu continuavi a strillare: «Affonda il colpo!». E più tu strillavi, più quella falce diventava tagliente.
Poi, tu e lui, vi siete avvicinati al mio letto.
Lui m’ha tirato con la forza da sotto le coperte e mi ha scaraventato in un angolo della stanza.
La lama dell’assassino trasudava ancora il sangue di mio padre, quando me l’ha puntata al collo. E tu, come se nulla fosse, guardando da un’altra parte, ancora hai strillato: «Affonda il colpo!».
È stato allora che mi sono svegliato. Però, mamma, credo – anzi, sono certo d’essere stato ucciso stanotte, e che questo bambino che tu adesso stringi tra le braccia, non è più quello che ieri sera è venuto a dormire in questo letto.
Mamma, io sento d’essere suo nipote.