A proposito dei quattro scarabocchi

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Siamo, forse da sempre, in cerca della nostra Terra, ma a quanto pare non l’abbiamo ancora trovata. Qualcuno dice che ci camminiamo sopra, e che perciò facciamo tanta fatica a scoprirla. Dice che è stata una sciocchezza dare ascolto al richiamo della sariema! Perché ci ha distratti dal nostro Paese di origine e provenienza.
Ora, dice, siamo prigionieri della «superficie». Dice che abbiamo uno sguardo troppo «superficiale», per concederci alla cerca di un Oltre a noi invisibile. Dice che c’è un’Altra Terra, una Terra «vera», non questa Terra così terrena che crediamo di abitare, ma una Terra Celeste – una Terra di cui il nostro cielo è il pavimento.

Sta scritto: Pavete ad sanctuarium meum.
Provate a inginocchiarvi, dice Socrate nel Fedone ai suoi discepoli. Provate a ribaltare la vostra prospettiva, suvvia! mettetevi a testa in giù! perché solo facendo «oltraggio» al vostro sguardo abituale, al vostro buonsenso, potrete, anche solo per un istante, adocchiare la «vera» Terra – quella di cui abitiamo appena una «cavità».
Inginocchiarsi, per fare una mezza capriola. Se questa è una preghiera, lo è perché è un gioco. E se il gioco ha una struttura, è la strutturalità del gioco che la decide – e che si decide o no a dire, o a disdire, che quella che il nostro occhio prende per la «superficie», è solo un’antica Terra – una Terra chiusa nelle sue «viscere».
Noi alziamo lo sguardo e diciamo: ecco, quello è il Cielo! – e invece, a sentire Socrate, non è che un «sottoscala» del Mondo.

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Escher – Casa di scale

Che sia un bene o che sia un male, il Racconto dice che siamo saliti o scesi di un piano nel Palazzo [dell’Essere]. A volte dice che siamo ruzzolati giù per le scale, per via di non so quale fretta. Ma più spesso dice che siamo «emersi» dal fondo dell’Oceano [dell’Essere ignaro di Se Stesso].
A volte il Racconto racconta che è stato, per noi, un «guadagno», altre volte invece si rammarica per la «perdita» a cui ci siamo condannati per aver dato noi ascolto a una voce «bestiale».
Magari, era un soffio di vento. Solo che, quando si è avventato nel nostro orecchio, c’è parso di udire un serpente (forse piumato) che all’orecchio ci sibilava sibilline tentazioni.
Tenta! – ci diceva. – Non tentare!
O così ci è parso.

Confuso nel vento, il dubbio abbiamo udito di un Angelo maledetto – di un Uccello venuto giù dal Tetto. Di un «volatile» abbiamo udito il verso, e verso quel «dove» ci siamo (ingenuamente) avventurati.
Ci è parso di arrampicarci fino a non so quale cielo, quando qualcuno, per farci un dispetto?, ci ha detto: No, guarda bene! non sei nel «vero» Cielo, ma in questo cielo qui che è solo il pavimento del paradiso [dell’Essere che è all’insaputa di Se Stesso].
Se davvero siamo affiorati a una «terra», questa non è, Socrate si raccomanda: tenetelo a mente! – questa non è che una Terra di Mezzo.
Una Terra «mediterranea». Una Terra fra le infinite terre [sotto il cielo] dell’Essere.

Siamo «emersi», dicono i Dogon, a una quadratura del Cerchio. Ma, insieme, ci siamo trovati «immersi» in un mare di guai, rispondono dal Sudamerica.
Siamo emersi al linguaggio immaginario – fa notare il linguista – finché ci siamo aperti a scrivere quei quattro «scarabocchi» immaginali. Quattro «di-segni» insignificanti – quattro «punti critici» nel diagramma dei nostri fiumi d’intensità «linguistica» e/o «affettiva».
Quattro «oggetti parziali», due coppie di gemelli ermafroditi. A turno, atri e ventricoli del nostro «essere». Quattro Figure: ne abbiamo fatte le «cariatidi» del nostro Quadrato Magico.

Magico perché superficiale. Perché sempre a fior di pelle.
Un cosmo affiora – come un lenzuolo «tirato» ai quattro angoli del Mondo, affiora sotto l’effetto della «magia» che sul nostro «essere» esercita la [voce della] Superficie.
Perché la Superficie è la Strega, e le Immagini sono le sue stregonerie. Ne sa qualcosa Narciso.
Il Mondo «creato» da Amma non è che lo specchio scarabocchiato dai suoi riflessi.

cuore-3.22Alla cosmogonia dogon fa eco, dagli altipiani indo-iraniani, la «fisiologia sottile» dell’Ummu’l-Kitâb: ogni «scarabocchio», vi si legge, è una Figura (Adamo, Eva, il Pavone e il Serpente) allocata in uno dei quattro «climi» umani. A ogni clima corrisponde una Casa. E ogni Casa è quella che Platone chiamerebbe una «cavità» della Terra abitata dall’Uomo.
Una «cavità» del cuore dell’Uomo.

Nella Casa del Vento, Iblîs, il diavolo, discende dal cervello al cuore lungo la via spinale – così, almeno, recita l’Ummu’l-Kitâb.
Discende per venire a «sussurrare» qualcosa di «blasfemo» all’orecchio di Adamo: qualcosa come «Ribellati! Vieni via! prendi, se vuoi, i tuoi attrezzi da gioco e vieni a vivere da noi!».
È un «sussurro» che il Vento ha disseminato nei Racconti di tutto il mondo. A dispetto della varietà dei suoi «codici», il Racconto pare custodire intatto un antico messaggio: ogni volta che racconta dell’«emersione» degli uomini a una nuova Terra, puntuale s’accompagna a un «presentimento di sciagure».

Una sariema ha fatto udire il suo richiamo: Suvvia! – cantava. – Uscite dal vostro paradiso!
Dal cervello [il paradiso che è nel capo dell’Uomo, ossia nel Cielo dell’Essere] Mefistofele è venuto a disdire la Legge: perché, Uomo, non dovresti tu godere del frutto proibito?
Adamo «dissidente», Adamo che si disgiunge dalla Catena, Adamo che ne strappa via un «anello», abita nella Casa aperta ai sussurri del Vento. Aperta a tutte le informazioni «soffiate» dal Vento.
Ci vuole naso, oltre che orecchio, per fiutarle!

cuore-e-cervello

Nella Casa dell’Acqua abita invece «Eva prigioniera». Non è forse l’immagine che dallo specchio d’acqua torna a Narciso – non è forse, essa, la prigioniera della Lontananza?
Non è forse imprigionata nell’«essere Altro» da chi la vede? sempre e comunque l’Altrui dell’occhio «visionario» che l’incontra?
Vedere, immaginare, guardare e riguardare l’immagine «sopra le acque»: che fare? inseguire Angelica nel bosco o trattenersi?
Andare o restare?
Avventurarsi dentro lo specchio della Lontananza o, timidi, avere sempre mille scuse per restare «fedeli» ai quattro scarabocchi della Superficie?

Non saranno i libri a risponderci – perché le cose stanno all’incontrario, e solo se ti inginocchi e abbozzi una mezza capriola, «vedi» che è il Libro che a te rivolge una preghiera: fammi il favore, ti sta dicendo, il favore di non correre a rispondere, ma di aiutarmi a custodire le antiche domande.
Le domande che ho scritto nel cuore dell’Uomo.
Perché io, il Libro – io, il Racconto ho bisogno di nutrirmi della scienza del cuore umano, per darmi un futuro.

Questo futuro, il Racconto se l’è venuto a cercare nella Quadratura dei nostri cuori. Non possiamo più tirarci indietro.
Come Eva, ci siamo lasciati sedurre da una voce «animale». O forse no, era solo un soffio di Vento. Era solo il lamento di una pianta. A stento, il tremolio d’una foglia.
Appena il fruscio di una piuma che danzava in uno sciame di corolle.
Solo che, quando quel «sussurro» si è avventato sul nostro orecchio, c’è parso di udire un serpente (forse piumato) che all’orecchio ci sibilava sibilline tentazioni.
Tenta! – ci diceva. – Non tentare!
O, almeno, così ci è parso.