Óðinn era in viaggio e giunse in un luogo dove c’erano nove servi intenti a mietere il fieno. Chiese se volevano che affilasse le loro falci e quelli assentirono. Allora egli trasse dalla cintola una cote e affilò.
Quelli poi trovarono che le falci tagliavano molto meglio e chiesero di poter comprare quella cote. Ed egli stabilì che chi voleva comprarla doveva pagare un prezzo molto alto. Ma tutti si dissero d’accordo e lo pregarono di venderla loro.
Egli allora lanciò la cote in aria. E tutti volevano afferrarla e si accapigliarono in tal modo che ognuno con la falce tagliò la gola all’altro.
Óðinn cercò alloggio per la notte presso il gigante che si chiama Baugi, fratello di Suttungr.
Baugi spiegò come la sua situazione fosse difficile, dal momento che i suoi nove servi si erano uccisi l’un l’altro ed egli non aveva alcuna speranza di trovare dei lavoranti.
Óðinn gli disse di chiamarsi Bölverkr («seminatore di disgrazie») e si offrì d’assumere il lavoro dei nove uomini, ma per compenso chiese che gli fosse dato un sorso dell’idromele di Suttungr.
Baugi dichiarò di non poter disporre in alcun modo di quell’idromele e disse che Suttungr voleva possederlo lui solo, ma promise che sarebbe andato con Bölverkr per tentare di ottenere l’idromele.
Bölverkr durante l’estate fece per Baugi il lavoro di nove uomini e, all’arrivo dell’inverno, chiese a Baugi il compenso pattuito.
Così andarono tutt’e due: Baugi espone a Suttungr, suo fratello, il patto con Bölverkr. Ma Suttungr rifiuta decisamente anche una goccia di idromele. Allora Bölverkr disse a Baugi che dovevano escogitare qualche trucco per arrivare al met. E Baugi è d’accordo.
Bölverkr tira fuori il trapano che ha nome Rati e dice che Baugi deve forare la roccia, se il trapano funziona a dovere. E questi fa così.
Ma Bölverkr soffiò nel buco e le schegge gli volarono addosso. E allora capì che Baugi voleva ingannarlo e lo invitò a forare la roccia fino in fondo. E Baugi lo fece.
Quando Bölverkr soffiò per la seconda volta la polvere e le schegge volarono verso l’interno. Allora Bölverkr prese la forma di un serpente e strisciò nel buco. Baugi cercò d’infilzarlo con il trapano, ma lo mancò.
Bölverkr procedette fin là dov’era Gunnlöð e giacque presso di lei tre notti ed essa promise di fargli bere tre sorsi d’idromele.
Con il solo primo sorso egli vuotò tutto Óðrerir, e con il secondo Boðn e con il terzo Són, ed ebbe tutto l’idromele. Poi si trasformò in aquila e volò via quanto più velocemente poté.
Ma quando Suttungr vide l’aquila, prese anch’egli forma d’aquila e l’inseguì.
Quando gli Asi videro in quale direzione volava Óðinn, posero fuori nella corte i loro recipienti e quando Óðinn giunse sopra Ásgarðr sputò l’idromele nei recipienti.
Nondimeno egli fu tanto prossimo a essere preso da Suttungr che lasciò cadere all’indietro un po’ di met, e nessuno se ne avvide, e lo ebbe chiunque ne volle. Noi la chiamiamo la «parte del poetastro».
E Óðinn donò l’idromele di Suttungr agli Asi e a quegli uomini che sanno poetare. Per questo noi chiamiamo la poesia «preda» oppure «scoperta» di Óðinn e «sorso» di lui e suo «dono» e anche «bevanda» degli Asi.
(Snorra Edda, Skáldskaparmál: 6)