Legati mani e piedi

… in un intrigo di lacci corde e catene, ecco dove siamo capitati.
Ci destiamo alla vita, che siamo legati. Legati mani e piedi al destino del mondo. E se il mondo è destinato a perdersi nell’illusione di un’eternità, o se è votato a vincersi nel giubilo silente della sua estinzione – questo, se l’abbiamo saputo o no, una volta, prima di destarci alla vita, a questo punto non conta più.
Non è un film, non è un romanzo – ma non è nemmeno la «realtà» nuda e cruda. È una via di mezzo.
Siamo in mezzo a una via. Siamo in una via del mondo.
Siamo dentro e fuori di noi.
Bussiamo. Domandiamo: c’è qualcuno?
Scopriamo solo dopo, a cose fatte, che siamo legati al destino delle nostre domande. Quand’è troppo tardi scopriamo d’esserci rimessi all’attesa che ci tornasse una, che dico?, una sola risposta dal mondo.

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Escher – Drago

Ci ha legati un dio: a nostra insaputa? Uno strano dio ci ha legati, un dio la cui «divinità», difettosa sin dal principio dei tempi, ci è divenuta ormai così poco credibile – che non vale più la pena di crederci.

Un dio difettoso! ma ti pare una cosa da dire? uno Zero Relativo: insomma quel Nessuno con cui siamo incatenati ad avere una relazione (io sto a Lui, ma io non so Lui chi è, e neanche se è).
In fondo, è questo il suo difetto: fa fatica a essere Qualcuno che non sia l’Altro. Che non sia l’Estremo extra omnia. L’Indifferente, l’Ozioso – a cui, non si sa come, sarebbe venuto una tantum il capriccio di fare il mondo.

Invece è come se gli mancasse sempre qualcosa per fare quel mondo. E perciò, a volte, tira la corda. Ti accorgi di Lui – solo quando il nodo si fa più stretto. E allora, per disperazione, sai o per un momento credi di sapere come chiamarlo.
Sì, lo chiami dio dei lacci, l’invochi: dio delle corde e delle catene, lasciami scappare. A volte lo preghi, ma più spesso ancora è Lui che prega te di non abbandonarlo al suo destino, se solo ti allenta un poco la catena.

dio è il fuoco in me e io in lui la luce:
non siamo l’un con l’altro profondamente uniti?
(Angelus Silesius, Il pellegrino cherubico: 11)

Il dio dei legami. È incredibile: è il dio a cui dobbiamo le nostre libertà. Le poche fughe dal mondo che ci sono concesse. È il dio più paradossale che si poteva immaginare. T’incarcera per farti respirare, in tutto il loro splendore, quei due o tre minuti d’aria fresca.
Il dio che incatena. Il dio che vincola. Il dio che limita … state contenti umana gente al quia. Non provate a sapermi: vi ho incatenati a essere partoriti da Maria. A sapere vi ho vincolati, a sapere solo quello che partorite. Il resto è chiacchiere.

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Escher – Museum

Tutto sommato, è l’orgoglio il solo peccato di Prometeo. Il difetto del dio a dio più caro, del dio più vicino, del dio più intimo a dio – è l’orgoglio.
Non ho bisogno di nessuno! – ecco la bestemmia.
Posso farcela da solo: che sciocchezza!
Un anello che pensa di fare a meno della catena! questo è quando si dice che la parte partorisce una maledizione contro Se Stessa!
L’Orgoglioso della Landa, il Lupo che non si arrende – ha questo solo piccolo difetto: vuole essere Assoluto, lo pretende innanzitutto dai filosofi, mentre ai preti chiede di solito di essere Assolto dall’imputazione di nullità.

In fondo chi è che Lo accusa? – quel diavolo di Mefistofele!
Tu non ridi più, tu non sei felice – dice Mefistofele a dio. – Dacché ti hanno imbalsamato gli uomini nei loro catechismi, tu non te la spassi più come una volta.
Se bussiamo alla porta di Goethe, questo è quanto ci sentiamo rispondere: che il dio della sua credenza era affetto da una catatonia sentimentale. Come dire: un dio per niente ansioso, di nulla preoccupato – un dio autistico.
Ma stiamo attenti a non farci ingannare dalle apparenze! Goethe non ha fatto altro che riprendere il filo di un vecchio racconto interrotto, starei per dire «sul più bello», se il punto in cui s’era interrotto non fosse ancora così carico di «tragedia»: un non-dio, un non-uomo, una via di mezzo, un diavolo di nome Prometeo, è incatenato alla dura roccia del suo Orgoglio.
Quella roccia, si diceva a Eleusi, è αγέλαστος – il solo posto al mondo in cui non si ride. Il posto dell’«Amor Proprio».

Chiedilo a Prometeo: sei forse un dio come tutti gli altri? No, tu non sei più un dio – se mai lo sei stato. E non sei ancora un uomo – se mai lo sarai.
E allora domandagli: ma tu, a che razza appartieni?

Una torsione. Ecco: è Prometeo che domanda a noi. Con una torsione ci restituisce la domanda: tu che non sei un dio, tu che ti vanti di non essere un animale, tu piuttosto dimmi: a che razza appartieni?
Ci sono voluti duemila anni e più, perché il filo di quel vecchio racconto si torcesse e ai narratori tornasse, invertita nell’eco di un’apparente risposta, la domanda antica: ma che diavolo sta succedendo?

Niente, non temere: è solo un gioco. Ti stiamo legando per gioco. Giochiamo a dio e il diavolo. A te che spezzi ogni catena, ecco cosa chiediamo: di farci vedere quanto sei bravo a spezzare anche questo legame!
Ma chi è che mente: dio o il lupo?
Chi ha detto che era un gioco, e poi invece s’è rivelata una tragedia?
Chi è che ha tramato insidie, chi è che ha spergiurato, chi – dimmi – ha detto il falso?
Non c’è che un «giocatore», uno solo pensa che è tutto un gioco: il lupo. Gli altri fanno sul serio.
Madonna, come sei serio! – rinfaccia Mefistofele a dio.

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Rafael Olbinski – Candele

Il fatto è che alla Roccia di dio ci puoi girare intorno quanto vuoi – non ride!
E il diavolo può darti tutti i suggerimenti che vuole, ma non sa estrarre la spada da quella Roccia. Neanche un timido cenno di sorriso, riesce a strappare al dio della sua credenza.
Perché ha «torto» il filo del vecchio racconto.
Come può dunque il diavolo avere «ragione»?

Il diavolo è l’ansia che ci lega ai balocchi del mondo, che a ogni balocco ci dice all’orecchio: dai, andiamocelo a prendere! con le buone o con le cattive maniere, con la forza o con l’inganno, ce lo prenderemo!
Il diavolo è l’ansia che dice: prendilo! basta che allunghi la mano, o il piede, o il naso, o perfino qualcosa di più basso, e quel balocco è tuo.
E invece non è il balocco in sé che conta.
Conta quello che dice Dioniso agli attori del suo «tragico» teatro: ce l’hai un vestito? hai un «equivalente immaginario» del balocco? hai in mente un gioco in cui vuoi essere tu il «giocatore» che si balocca?
Allora, lasciati legare per i prossimi tredicimila anni alla Roccia Seria. Non avere paura, è solo un gioco.
Sei tu il giocattolo.