Il Racconto mi ha detto: donami!

Furto e inganno – o, in alternativa, inganno e furto!
Non c’è altro da dire? è tutta qui la «materia grigia» della mente umana?
A tutte le latitudini, il Racconto insiste a raccontare che siamo gli uomini che siamo: gli stolti eredi di un Antenato mariuolo e bugiardo.
«Lascia che io lo metta alla prova – dice Mefistofele a dio. – Questo tuo figlio prediletto, questo babbuino a cui fai da babbo, lascia che io lo tenti una sola volta, e vedrai di che pasta è fatto!».
catena-spezzataSe solo avesse voluto essere un po’ più esplicito, quel diavolo di Mefistofele avrebbe detto già allora, nel Prologo in cielo, la «verità» che dio per primo si rifiuta di guardare in faccia.

L’Uomo è stato un fallimento, e c’è poco altro da aggiungere.
Questo «poco altro», se proprio vuoi saperlo (ma tu, ci scommetto, lo sai già), è – dopo il furto e l’inganno – il terzo «peccato», forse dei tre il più innocente, il più debole certamente, ma insieme anche il più illuminante a proposito della «natura» del nostro Antenato.
Perché rubare, in fondo, e perché ingannare se non per arrivare al dunque di questo «terzo crimine» che doveva disgiungerlo una volta per sempre da tutti gli altri animali?

Poco altro … altro non è l’Uomo che un porco.
Un porco selvatico. Un porco che la sua «selva» continua a inselvatichirla nei secoli dei secoli. Amen.
«Vuoi che te lo dimostri? – domandò Mefistofele a dio. – E allora lasciami mettere alla prova il migliore di questi tuoi figliocci che tieni tanto a cuore!».

Mi dispiace solo per lui, per il nostro buon vecchio dio d’una volta. Lui sì che s’è preso, solo lui, un mare di collera. E come se non bastasse, quel diavolo di un diavolo s’è messo in testa di fargli venire il disgusto per questo pezzo di merda.
«Solo un vecchio rimbambito come te – si permise di dire, da compare a compare, in tutta confidenza il diavolo a dio – solo uno scimunito come te può ostinarsi a scusarlo. Ma, caro mio, bisogna che tu ne prenda atto: il figlio tuo prediletto è una chiavica e puzza. Dammi solo due minuti, giusto il tempo che mi travesto da serpente, e vedrai se non te lo dimostro».

Il sesso, il sesso, il sesso – il terzo peccato!
Quello che il Racconto, là dove parla nel nome di un dio, si ostina a glissare: una cosuccia da niente, che vuoi che sia?
Come? tutta la libidine, tutta la gioia di esistere che il buon vecchio dio ebbe a soffiare sul pugno di fango, è diventata solo sesso, e tu dici che non è poi così tanto grave? di tutte le stelle di tutte le galassie dei cieli visibili e di quelli invisibili, solo questo chiodo fisso, solo questa capocchia di spillo avanza, e tu dici che è niente? che si può rimediare?
Perché – perché, Racconto, continui a fingere di non vedere quello che pure mi racconti?

Il Lupo è stato incatenato male! Prometeo, è questione di tempo, ma nei secoli dei secoli verrà il giorno che spezzerà le catene!
Che dici, Racconto? ci stai guidando alla fine del mondo, e a nient’altro miri che a prenderti un po’ di tempo?
A rubare tempo al Tempo, come un mariuolo ti sei ridotto a nascondere la tua refurtiva dietro un «vissero felici e contenti»?
Perché non ci dici esplicitamente ciò che siamo?
Perché, maledetto, continui a scusarci anche quando ti sputiamo addosso le nostre ridicole interpretazioni da quattro soldi?

Il Lupo si scioglierà da tutti i vincoli. E Prometeo dirà di non essere mai sceso a patti con dio, se non per ingannarlo. In quanto a Faust, basterà insinuargli l’idea di poter fare sesso con la più bella del reame, per scatenare subito i suoi più bassi istinti, senza aspettare la fine del mondo.
Non c’è piacere, dirà Freud, il buon vecchio Freud – molto prima che il sipario cali sul Racconto dell’Uomo – dirà: non c’è piacere che non sia istinto di morte. Che non sia votato a estinguersi e darsi pace.

Il Lupo è tra noi, e il mondo è già finito. Da un bel po’.
Non uno, non due, ma tre peccati ci sono voluti – la maledetta trinità della coda dello Scorpione ci ha pinzati a morte il giorno che siamo nati alla Parola Umana e al Racconto.
Furto, inganno e sesso. Maledetto circolo vizioso.
Dimmelo tu, Racconto: da che parte si esce?

scorpione-giallo-codaComunque sia, cos’altro potrebbe rispondermi il Racconto, se non: «Prova a immaginare da dove ci sei entrato»?
Ci provo, e il Racconto a tutte le latitudini, me lo ripete: hai rubato, ha mentito e … hai scoperchiato il vaso di Pandora.
Ci riprovo. Voglio capire meglio.
E il Racconto a tutte le latitudini continua a ripetermi il solito ritornello: sei tre volte peccatore.
Non mi arrendo. Ci riprovo ancora. Posso capire meglio. Fammi un cenno, dammi solo un piccolo indizio a cui appigliarmi. Non voglio che asciugare una lacrima, una sola, del nostro buon vecchio dio di una volta. Lo so, lo so che è morto, ma io voglio lo stesso consolarlo del male che gli ho fatto. Della delusione che gli ho dato.
Voglio impazzire io al posto suo.
Dimmi una sola parola e io la userò come il velo della Veronica.

Il Racconto mi ha detto: donami!
Solo quest’ultima follia il Racconto mi dà.
Il Racconto sa che sono più stolto dello stolto Epimeteo, e ora che il vaso l’ho aperto, ora che ho saputo di tutt’e tre i mali di cui mi sono ammalato, ora il Racconto mi dice solo: donati a me per quest’ultima pazzia!