Nell’istituzione del sacrificio cruento, come racconta la Teogonia di Esiodo, c’è un tentativo di inganno, solo apparentemente coronato da successo. Prometeo divide il grosso bue destinato al sacrificio in due parti: la carne e le interiora destinate agli uomini, e le ossa destinate a bruciare sull’altare per gli dèi. Zeus, nel vedersi presentare le ossa avvolte di lardo appetitoso, finge di cadere nel tranello.
La contesa prosegue con l’episodio del fuoco, che Prometeo ruba per darlo agli uomini; con la vendetta di Zeus, che manda sulla terra Pandora, dono bellissimo e nefasto; infine con la punizione di Prometeo incatenato a una roccia del Caucaso, preda dell’aquila che gli squarcia il fegato (solo Eracle, col consenso di Zeus, lo libererà da questo tormento).
La possibilità che la spartizione sacrificale proposta da Prometeo a Zeus derivi storicamente dai riti lapponi, siberiani o caucasici, in cui le ossa degli animali uccisi venivano offerte agli dèi perché li riportassero in vita, è stata suggerita da tempo. A renderla più plausibile giunge ora la dimostrazione dei rapporti tra i miti greci e quelli, soprattutto georgiani, su Amirani.
Su questa base si è postulata una serie di contatti, anteriori al II millennio a. C., tra popolazioni parlanti lingue indoeuropee e popolazioni parlanti lingue caucasiche […]
Di solito si dà per scontato che la contesa tra Prometeo e Zeus descritta nella Teogonia si riferisca senz’altro al rito greco del sacrificio cruento. Eppure la corrispondenza tra mito e pratiche rituali è tutt’altro che perfetta. Esiodo contrappone ossa e carne, senza menzionare le viscere che invece avevano una parte importante nel sacrificio.
Inoltre, il gesto di Prometeo che pone «carni e interiora ricche di grasso in una pelle» dopo averle nascoste «nel ventre del bue», non ha alcun riscontro nel rituale del sacrificio – almeno in quello greco. Ma se assumiamo come termine di paragone il sacrificio scita, vediamo profilarsi una convergenza imprevista.
Gli Sciti, racconta Erodoto (4: 61) «insaccano tutte le carni nel ventre» del bue (o di qualsiasi altro animale); poi, dopo averle mescolate con acqua, le fanno bollire.
È un’altra prova della strettissima contiguità culturale tra gli Sciti e i pastori nomadi dell’Asia centrale. Anche i Buriati, infatti, usano cuocere gli animali avvolti nella loro pelle, dopo averla riempita d’acqua e di pietre roventi.
Due testi diversissimi: quello di Esiodo racconta in chiave mitica l’istituzione del rito sacrificale greco; quello di Erodoto descrive, in una prospettiva che oggi chiameremmo etnografica, il rito sacrificale praticato da una popolazione straniera, addirittura nomade […]
La conclusione è inevitabile. La tradizione giunta fino a Esiodo conservava la memoria del sacrificio scita: inserita, però, in una rielaborazione mitica volta a illustrare, attraverso la contesa tra Prometeo e Zeus, la decisiva novità del sacrificio greco.
(Ginzburg, Storia notturna)