C’è un mito di caccia, diffuso in tutta la Georgia, collegato a un rituale per provocare la pioggia. Il suo eroe è il cacciatore Betkil (il cui nome varia da una regione all’altra), accompagnato dal suo cane Q’ursha, «Orecchio nero». Quest’ultimo è un animale soprannaturale, nato da un’aquila che, nel vedere la sua deformità, l’ha gettato fuori dal nido.
Caduto a terra, il cucciolo è stato raccolto e allevato da alcuni cacciatori. Fornito delle ali dell’aquila, ha le labbra d’oro e occhi enormi. Il suo abbaiare si confonde col brontolio del tuono. Con un solo balzo, raggiunge il muflone o il camoscio.
Il cacciatore è stato amato dalla dea Dali, e ciò lo rende infallibile. Ma le è stato infedele, e la dea si vendica crudelmente.
In una notte d’inverno, Betkil si lancia, col suo cane, all’inseguimento di un cervo bianco, che lo attira fin sulla vetta di una scoscesa montagna. Mentre è in procinto di scoccargli una freccia, la montagna si sgretola sotto i suoi piedi.
Cadendo nell’abisso, Betkil resta sospeso a un ramo con la suola del suo mocassino. E rimane così, a testa in giù, per parecchi giorni, sempre più tormentato dalla fame e dalla sete.
Il cane, che gli è stato sempre vicino, su una piccola sporgenza rocciosa, dice al suo padrone: «Uccidimi e pasciti di me!».
Il cacciatore, con la morte nel cuore, si congeda da Q’ursha: lo sgozza, lo scortica e l’arrostisce, servendosi del suo arco e delle frecce per accendere un fuoco, ma poi non si risolve a mangiare il suo compagno.
Infine, arrivano a soccorrerlo gli abitanti del villaggio. Ma man mano che essi gli lanciano corde, la montagna cresce oltre la sua normale altezza.
All’alba, il cacciatore, sfinito, si lascia cadere nel vuoto, sfracellandosi su una roccia ai piedi della montagna.
Su quella roccia ancora oggi viene compiuto il rituale destinato a far cadere la pioggia: gli officianti cantano una lamentazione che è il mito da noi testé riassunto, uno dei più belli del repertorio georgiano. La nenia riproduce il canto stesso del cacciatore sospeso, il quale piange il cane che ha ucciso, ma non ha avuto il coraggio di mangiare.
Stranamente, troviamo nell’America del nord (makah del capo Flattery) un complesso mitico-rituale che ricorda, nella trama e nella finalità, la storia del cacciatore georgiano. Un cacciatore indio resta bloccato sulla parete di una montagna, che cresce in modo anormale.
Le corde lanciate dalla famiglia dello sventurato non riescono a raggiungerlo. Allora, egli si precipita nel vuoto, uccidendosi.
Gli indiani, per impetrare la pioggia, recitano una formula magica ricalcata sul canto del cacciatore, prima del suo salto nell’abisso (cfr. Lévi-Strauss, L’uomo nudo).
(Charachidze, Dizionario delle mitologie e delle religioni)