Una leggenda raccolta mezzo secolo fa tra gli Svani del Caucaso presenta una versione parzialmente anomala delle gesta di Amirani (che a loro volta presentano notevoli affinità con quelle di Prometeo).
A un certo punto Amirani rimane senza fuoco. Scopre che gli unici ad averlo, nel raggio di molte miglia, sono una famiglia di demoni sotterranei, i dêv: nove fratelli, uno dei quali è zoppo. Amirani entra nella loro casa, malmena tutti tranne lo zoppo, s’impadronisce del fuoco e se ne va.
La rarità degli zoppi nella mitologia caucasica ha suggerito un confronto con il mito in cui Prometeo ruba il fuoco dalla fucina di Efesto, il dio claudicante […]
Se includiamo la zoppaggine nella serie più ampia delle asimmetrie deambulatorie, scopriamo che in essa rientra anche Amirani.
La leggenda raccolta tra gli Svani dice che, subito dopo il furto del fuoco, egli viene ingoiato da un drago, che s’inabissa sotto terra; riesce a uscire dalle viscere del drago e, dopo varie peripezie, si imbatte in un’aquila che, in cambio di dodici coppie di buoi e di una quantità corrispondente di pane, accetta di portarlo in volo verso la superficie.
L’aquila s’innalza a spirale, mangiando carne e pane alla fine di ogni cerchio. Mancano due cerchi alla fine quando Amirani si accorge che le provviste sono finite. Allora taglia un pezzo della propria carne e lo mette nel becco dell’aquila. L’aquila lo trova molto più saporito dei precedenti e arriva sulla terra senza più fermarsi.
Amirani scende, e l’aquila gli dà un pezzo della propria ala dicendogli di strofinarlo sulla ferita. La ferita guarisce immediatamente.
Sull’automutilazione di Amirani la leggenda caucasica non dà altri particolari. Per saperne di più dobbiamo rivolgerci a una fiaba mantovana: Sbadilon.
Sbadilon è un bracciante che gira il mondo con la badila in spalla insieme a due compagni. Dopo varie avventure capitano in un paese dove la principessa è stata rapita.
In un prato vedono una lapide: Sbadilon la alza con due dita, vede un gran buco, si cala giù con una fune.
Arrivato sottoterra ammazza cinque maghi a badilate e trova la principessa, che in segno di gratitudine gli promette di sposarlo.
Sbadilon la fa tirare su dai due compagni: ma appena cerca di salire anche lui, i compagni tagliano la fune e se ne vanno con la principessa.
Lui Sbadilon poverino, quando è stato in fondo là, ha aperto un’altra porta, è venuta fuori un’aquila: «Oh ma Giovanni, ma cosa fai qui?».
E allora gli racconta che aveva salvato la principessa e che, dice: «Come facciamo adesso a salire?».
Dice: «Senti, se hai della carne, io ti porto su anche te».
«Oh ce n’è! Ti piace la carne di mago?».
«Sì», dice.
E allora lui si è messo sulle spalle due o tre maghi e sulle groppe dell’aquila anche lui.
«E quando adesso ti dico: dammi un pezzo di carne, tu mi darai un pezzo di carne».
E difatti, «dammi un pezzo di carne, dammi un pezzo di carne», ma quando è arrivato quasi di sopra, qui dei maghi non ce n’erano più, e allora lui, quando lei gli dice: «dammi un pezzo di carne» invece di dirle magari: «non ce n’è più» si è tagliato via un pezzo di calcagno, e allora hanno fatto in tempo a salire.
Quando è stato di sopra, dice: «Ma dio che bruciore che ho in questo piede qui».
E allora lei dice: «Taci, taci che ho un boccetto di roba che fa ricrescere i calcagni».
E infatti gli ha vuotato – sono proprio favole neh?! – gli ha vuotato su quel boccettino di roba lì e gli è ricresciuto il suo calcagno, e poi si sono salutati, lui e l’aquila.
«I è propia favoli neh?!»: sono proprio favole, come dice la narratrice di Cesole nel Mantovano, prendendo per un attimo le distanze dell’evento prodigioso che sta raccontando. Non può sapere che quasi quarant’anni prima un altro narratore ha raccontato lo stesso prodigio, quasi con le stesse parole, a migliaia di chilometri di distanza, nelle montagne del Caucaso, ricalcando uno schema probabilmente più che millenario. Ma proprio perché sono favole, narrazioni rette da una logica peculiare ma ferrea, possiamo integrare la lacuna, costituita dall’imprecisata mutilazione di Amirani, col calcagno tagliato di Sbadilon.
La sostanziale identità tra i due episodi è tanto più stupefacente in quanto non implica la mediazione di Prometeo. L’esistenza di un mito in cui Prometeo, dopo essersi inabissato sottoterra, risale alla superficie in groppa a un’aquila, sfamandola col proprio calcagno, è a priori improbabile, dato che nel ciclo greco l’aquila ha sempre una funzione negativa (mentre in quello caucasico avviene il contrario).
La serie di favoleggiatori e favoleggiatrici che per generazioni e generazioni ha raccontato tra Caucaso e Pianura padana, in innumerevoli lingue, la stessa storia – o meglio lo stesso episodio inserito in innumerevoli storie diverse – ha ignorato il mito di Prometeo; se l’ha conosciuto, non ne ha tenuto conto.
Ma se abbandoniamo il piano dell’identità per quello dell’isomorfismo, le conclusioni cambiano.
È molto probabile (non diciamo certo) che Prometeo sia stato contrassegnato da un’asimmetria deambulatoria, che per puro caso non compare nelle testimonianze giunte fino a noi. Invece di un calcagno tagliato, Prometeo potrebbe aver avuto i piedi storti come Efesto. Oppure un ginocchio con una rotula di lupo come Amirani, che se ne serve per sfondare una torre di cristallo, in cui giace un gigante morto.
Anche i calcagni tagliati di Amirani e Sbadilon sono, com’è ovvio, il contrassegno di chi ha compiuto il viaggio sotterraneo nel mondo dei morti (a cui, nella fiaba mantovana, si accede sollevando una lapide).
È stato notato che Amirani ha alcuni tratti sciamanici. In Prometeo – un dio che agisce come mediatore tra Zeus e gli uomini – essi sono quasi cancellati.
Ma sarà prudente precisare: nel Prometeo che conosciamo.
Eravamo partiti dalla simmetria tra l’episodio della leggenda caucasica in cui Amirani s’impadronisce del fuoco senza torcere un capello al dêv zoppo, e il mito in cui Prometeo ruba il fuoco al claudicante Efesto.
Si tratta in verità di una simmetria duplice, che coinvolge non solo le vittime ma gli autori del furto: gli uni e gli altri appaiono legati da un rapporto addirittura speculare.
Semplificando, potremmo dire che si tratta di quattro varianti, raggruppate a due a due, dello stesso personaggio.
Tre di loro sono caratterizzati da un’asimmetria deambulatoria diversa: ginocchi con rotula di lupo (Amirani), zoppaggine (dêv), gambe storte (Efesto).
Per quanto riguarda Prometeo, dobbiamo limitarci alle congetture. Ma è ormai evidente che gli zoppi, e più in generale i personaggi caratterizzati da asimmetrie deambulatorie, non possono essere considerati un dato superficiale, e perciò ascrivibile senz’altro a un prestito.
(Ginzburg, Storia notturna)