Caucaso – Amirani incatenato

C’era una volta un cacciatore.
Ogni giorno andava a caccia nel bosco. Lui e il suo cane ogni giorno nel bosco si avventuravano fiutando nuove prede.
Però il fiuto, si sa, a volte fa dei brutti scherzi: la preda, a volte, è solo un frutto dell’immaginazione, solo un fantasma della fame del predatore.

Amirani-QurshaE questo è ciò che, un bel giorno, accadde al nostro cacciatore.
Gli accadde, nel bosco, di fiutare la presenza di una dea: era la più bella ninfa che avesse mai visto e lui, all’istante, se n’innamorò. S’innamorò di quella fata che gli pareva dal cielo discesa per venire a mostrargli il miracolo della sua bellezza.

Da quel giorno, ogni giorno il nostro cacciatore andava a caccia, lui e il suo cane nel bosco. Ma non andava che a caccia della sua fata. Di tutte le altre prede, non voleva più saperne.
Voleva solo quella. Solo la sua dea, voleva.
Sarà stata la magia del posto del loro primo incontro, sarà stato soltanto un caso a farli incontrare – fatto sta che il nostro cacciatore, ogni volta che la immaginava, finiva per cacciarsi in un mare di guai.
Pardon: finiva per fare all’amore con lei!

Un giorno però sua moglie lo sorprese a fare l’amore con la ninfa del bosco.
«Infame traditore!», gli gridò.
«E tu – urlò alla fanciulla – tu, svergognata che non sei altro, scordati del mio sposo!».
La ninfa spaventata fuggì dal bosco e giurò di non farvi più ritorno, ma prima di andarsene chiese al cacciatore di esaudirle un ultimo desiderio: «Aiutami – gli disse – ti prego, aiutami a partorire il frutto del nostro amore».

Venne così alla luce un bambino. Venne prima del tempo dovuto e, per non farlo morire, fu deposto nel grembo d’un toro, altri dicono d’una giumenta.
Sicché due volte nacque il bambino: da una ninfa innamorata la prima, e la seconda dalla «coscia del toro». Venne alla luce in un certo posto nel bosco, non distante dall’alcova in cui era stato concepito, nei pressi della fonte a cui il cacciatore e la ninfa insieme s’erano abbeverati.

Abbandonato al suo destino, il bambino fu raccolto da un contadino che lo portò a casa e l’allevò insieme ai suoi due figli.
Amirani – questo fu il nome che il contadino gli impose – fin da bambino diede prova della sua forza esagerata: vagando per il mondo assieme ai due fratellastri, combatté demoni, giganti e draghi.

Un giorno però s’imbatté in un Nemico senza volto. E lui, che era figlio dell’immaginazione, non riuscendo a immaginare chi si nascondesse dietro quella inimicizia, intimorito si ritrasse.
Indietro si ritrasse, temendo d’essere sopraffatto.
«Dio – sospirò dolente. – Mio dio, concedimi la forza che non ho! Concedimi la forza dei ciechi che da sempre combattono contro Nemici senza volto!».
E il suo dio queste parole gli rispose: «Tu la forza dei ciechi l’otterrai, se accetterai di separarti dai tuoi fratelli e da solo continuerai il tuo viaggio».

Viaggiando da solo, Amirani divenne più forte: nella solitudine trovò il sentiero dei ciechi e vinse non uno, ma cento, mille Nemici senza volto.
E quando a uno a uno tutti li ebbe sterminati, quando comprese che più al mondo non c’era nessuno da combattere, osò sfidare dio in persona.
Ma alla sua sfida dio non rispose né sì né no! dio rifiutò di battersi con lui, ma gli propose un gioco, al termine del quale, toh!, Amirani si ritrovò per sempre incatenato a un palo di metallo, le cui radici affondavano nelle viscere della terra. E come se non bastasse, dio scosse le montagne, ed ecco: Amirani si vide coperto da un ammasso roccioso a forma di cupola. E sotto e sopra di lui, non c’era nient’altro che il cielo vuoto.

Per fortuna però venne a fargli compagnia un cane. Era Q’ursha, il cane di suo padre, il cacciatore. Era il cane alato, rampollo di un’aquila, capitato lì per caso. Il cane ebbe pietà di Amirani e, per un anno intero, giorno e notte leccò le maglie della sua catena.
Ma un attimo prima che la catena cedesse, nove fabbri corsero alla fucina e, battendo tre volte sull’incudine, plasmarono un certo non so quale talismano, col quale rinsaldarono le catene di Amirani.

E da allora è sempre così: all’alba di ogni capodanno, il cane non fa mai in tempo a sciogliere l’ultima maglia che incatena Amirani al nostro tempo.
È sempre così: ogni figlio immaginale caduto sul prato della nostra vita, non fa in tempo a fiorire che è già appassito!
E tuttavia il cane ancora non si stanca di leccare, anno dopo anno, le catene dello sventurato figlio del cacciatore, che per amore d’una ninfa immaginale, era annegato in un mare di guai.