
Il nome di Bran vuol dire «corvo», ma anche «ontano» (in irlandese fearn, dove la f si pronuncia v – in poesia gwern).
Sappiamo di un Fearn, terzo dei quattro figli di Partholan, leggendario re d’Irlanda nell’Età del bronzo, e di un Gwern, giovane re d’Irlanda, figlio della sorella di Bran, Branwen, ovvero «corvo bianco».
Ancora nel V secolo d. C. c’era nel Kent un re di nome Gwerngen, «figlio dell’ontano».
Tuttavia, il personaggio più degno di nota tra i tanti in cui «s’incarna» il dio Corvo, o il dio Ontano, è Ogyr Vran, il padre della ben nota Ginevra delle leggende del ciclo di Re Artù. Dal suo nome, infatti, ocur vran, ossia «Bran il Maligno», deriverebbe l’inglese ogre, «orco». Da lui la strega Cerridwen avrebbe partorito il mago Gwion.
Dell’ontano c’è da dire che, come il salice, il pioppo e il castagno, è un cattivo combustibile, ma è assai apprezzato dai carbonai perché fornisce il migliore carbone di legna. Il Romanzo di Branwen ne svela il legame col fuoco: Gwern (l’ontano), figlio di Branwen, viene gettato nel fuoco dal perfido zio Evnissyen.
Nelle campagne irlandesi, abbattere un ontano equivaleva a richiamare su di sé il malocchio: era considerato un «crimine» da espiare con l’incendio della propria casa.
L’ontano è inattaccabile dall’acqua: le sue foglie leggermente appiccicose resistono alle piogge invernali più a lungo di quelle di qualunque altro albero a foglie decidue, e il suo legno è usato per condutture e palafitte. Il Ponte di Rialto a Venezia, nonché parecchie cattedrali del Medioevo, poggiano su piloni di ontano. Secondo Vitruvio, nelle paludi del Ravennate si usavano pali di ontano per la fondazione delle strade sopraelevate.

Il legame tra Bran e l’incorruttibile ontano risulta chiarissimo nel Romanzo di Branwen, dove i porcari (sacerdoti oracolari) del re d’Irlanda Matholwch scorgono una foresta in mezzo al mare e non riescono a capire di che si tratti. Branwen dice loro che è la flotta di Bran il Benedetto, che viene a vendicarla. Le navi gettano l’ancora al largo e Bran attraversa a guado le acque basse trasportando a terra uomini e cose. In seguito per permettere l’attraversamento del fiume Shannon, protetto da un incantesimo, si stende di traverso alla corrente e si fa passare addosso un graticciato di rami. In altri termini, ci si servì di piloni di ontano per costruire prima un molo e poi un ponte.
Si diceva di Bran che «nessuna casa potesse contenerlo».
L’indovinello «che cosa non può essere contenuto da nessuna casa?» ha una risposta semplicissima: «i pilastri su cui è costruita». Infatti le prime case europee erano costruite su palafitte di ontano in riva ai laghi.
La «testa che canta» di Bran era in un senso la testa oracolare mummificata di un re sacro, ma in un altro senso era la «testa» dell’ontano, ossia il ramo più alto. Coi rami verdi dell’ontano si fabbricano buoni zufoli […]
Ma oltre agli zufoli si possono costruire anche flauti a più fori, e la testa di Bran che canta sarà stata un flauto di ontano. Ad Harlech, dove si dice che la testa abbia cantato per sette anni, un corso d’acqua presso la rocca del castello è il luogo ideale per un bosco sacro di ontani.
È possibile che la leggenda del flautista Marsia scuoiato da Apollo sia un ricordo della rimozione della corteccia di ontano dal legno per fabbricarne flauti.
Nell’antica Irlanda con l’ontano si facevano anche i secchi per il latte e altri recipienti per i prodotti caseari. Di qui il suo nome poetico di comet lachta, custode del latte, nel Libro di Ballymote.
Questo legame di Bran-Kronos, l’ontano, con Rea-Io, la candida vacca lunare, è molto importante. In Irlanda Io era chiamata Glas Gabhnach, «la verde chiusa nel recinto», perché pur dando latte a fiumi non partorì mai un vitello. Era stata portata via dalla Spagna da Gavida, il fabbro nano volante, e compì il periplo dell’intera Irlanda in un sol giorno, scortata dai sette figli di Gavida (che presumibilmente rappresentano i giorni della settimana), dando alla Via Lattea il nome di Botharbó-finné, «sentiero della vacca bianca» […]

I miti greco-latini parlano poco dell’ontano, a quanto sembra soppiantato, come albero oracolare, dal lauro delfico. Ma l’Odissea e l’Eneide contengono due importanti menzioni.
Per Omero l’ontano è il primo dei tre alberi della risurrezione (gli altri due sono il pioppo bianco e il cipresso) che formano il bosco intorno alla grotta di Calipso, figlia di Atlante, nella sua isola elisia di Ogigia. In questo bosco nidificano linguacciuti gracchi corallini (sacri a Bran in Britannia), falchi e gufi.
Questo spiega la versione virgiliana della metamorfosi delle sorelle dell’eroe solare Fetonte: nell’Eneide si dice che mentre piangevano la morte del fratello vennero mutate non in un boschetto di pioppi, come sostengono Euripide e Apollonio Rodio, ma in un folto di ontani sulle rive del fiume Po: si trattava evidentemente di un’altra isoletta elisia.
La parola greca per ontano, klétra (κλήθρα), viene generalmente fatta derivare da kleio (κλείω), «chiudo, confino». La spiegazione sarebbe dunque che i boschetti di ontano imprigionavano l’eroe nell’isola oracolare, crescendo tutt’intorno alle sponde; sembra che in origine le isole oracolari siano state fluviali, e non marine.
L’ontano era ed è tuttora apprezzato per i tre pregevoli coloranti che se ne traggono: il rosso dalla corteccia, il verde dai fiori, il marrone dai rami (simboli rispettivamente del fuoco, dell’acqua e della terra).
Nel glossario di termini in disuso compilato da Cormac nel X secolo l’ontano è detto ro-eim e glossato come «ciò che arrossa il viso», dal che si può dedurre che gli «eroi tinti di cremisi» delle Triadi gallesi, che erano re sacri, erano legati al culto dell’ontano di Bran. Un’altra ragione della santità dell’ontano è che quando viene abbattuto, il legno, dapprima bianco, si tinge di rosso quasi stillasse sangue […]
Ma principalmente l’ontano è l’albero del fuoco e del suo potere di liberare la terra dall’acqua; inoltre il ramo di ontano che identifica Bran nella Câd Goddeu è un pegno di risurrezione, perché le sue gemme sono disposte a spirale […]
Fearn (Bran) compare nel mito greco come Foroneo, re del Peloponneso, venerato come eroe ad Argo, di cui sarebbe stato il fondatore. Ellanico di Lesbo, un erudito contemporaneo di Erodoto, ne fa il padre di Pelasgo, Iaso e Agenore, che si spartirono il regno alla sua morte; in altre parole, il suo culto ad Argo risaliva ad epoca immemorabile.
Pausania, che si recò personalmente ad Argo per documentarsi, scrive che Foroneo era marito di Cerdo (la Dea Bianca come Musa) e figlio del dio fluviale Inaco e della ninfa Melia (il frassino): una parentela appropriata, visto che l’ontano segue il frassino nel calendario degli alberi e che gli ontani crescono lungo le rive dei fiumi.
Il fatto poi che Pausania, accantonando la leggenda di Prometeo, faccia di Foroneo l’inventore del fuoco, rende definitiva la sua identificazione con Fearn.
Secondo Igino, il nome della madre era Argeia («bianca abbagliante»), di nuovo la Dea Bianca. Come Bran e come tutti gli altri re sacri, Foroneo risulta al tempo stesso figlio della Dea Bianca e suo sposo, e infine, da morto, viene composto sempre da lei come dea della morte Era Argiva, a cui per primo egli avrebbe offerto sacrifici.
Foroneo è dunque Fearineus, il dio della primavera cui si offrivano sacrifici annuali sulla collina di Kronos a Olimpia durante l’equinozio primaverile.
La sua testa che canta ricorda quella di Orfeo, il cui nome è forse l’abbreviazione di Orphruoeis, «che cresce sulla sponda del fiume», ossia l’ontano.
Sembra che in alcune zone del Mediterraneo come sostituto dell’ontano si usasse il corniolo o sanguinella, il cui nome latino cornus deriva da cornix, la cornacchia sacra a Saturno o Bran che si nutre delle sue «ciliegie» rosse, proprio come, secondo Omero, facevano anche i porci di Circe.
Ovidio ne fa, insieme con la quercia commestibile, uno degli alberi che fornivano il cibo agli uomini nell’Età di Saturno.
Come l’ontano, il corniolo fornisce una tintura rossa ed era ritenuto sacro a Roma, ove il lancio del giavellotto di corniolo di Romolo determinò il punto in cui fondare la città […]
Il Dictionnaire Étymologique di Dauzat, alle voci alis, alise, «torrente riparato», propone la derivazione dal «termine gallico alisia, forse preceltico, che è rappresentato da numerosi toponimi e che deve anche aver dato il termine spagnolo per l’ontano, aliso». Questo è molto sensato dal punto di vista del mito, perché l’isola sepolcrale di Calipso, Ogigia, era protetta da boschetti di ontani.
Alys, Alis o Halys è il nome del maggiore fiume dell’Asia Minore, e che sia preellenico è dimostrato dal nome della città di Aliasso (-asso è una terminazione cretese) che sorge sulle sue rive subito prima che il fiume devii verso nord per sfociare nel Mar Nero meridionale. Ci sono anche due fiumi di nome Hales, uno nella Ionia, l’altro in Lucania (l’Alento), che potrebbero prendere nome dalla stessa dea Alys.
Uno dei nomi dell’ontano in tedesco è Else, che corrisponde allo scandinavo elle. Il danese Ellerkonge è il re dell’ontano Bran, che rapisce i bambini per portarli all’altro mondo; ma elle significa anche «elfo», che deve essere considerato sinonimo di klétra, ossia fata dell’ontano.
Così nella famosa ballata di Goethe, che si rifà alla raccolta di Herder Stimmen der Völker, Ellerkonge è tradotto giustamente con «Erlkönig», da Erle, il termine tedesco più comune per l’ontano.