Presso gli Aino, l’orso catturato e allevato piccolissimo (in certi casi la moglie del cacciatore giunge persino ad allattarlo col proprio seno) e tenuto in gabbia per tutta la vita, viene alla fine immolato davanti a una siepe sacra in un giorno di baldoria ed eccitazione: si arriva ad offrire il liquore all’orso, prima di strangolarlo. Poi lo fanno partecipare simbolicamente al loro banchetto, servendogli cibo e bevanda.
Il giorno dopo lo macellano, lo scuoiano, lo sbudellano e staccano il tronco e le gambe dalla testa. La testa dell’orso con la pelle arrotolata viene deposta davanti alla siepe sacra. Poi tolgono il cervello dalla parte dell’osso occipitale (nelle femmine a destra, nei maschi a sinistra) e riempiono il vuoto con trucioli.
Anche gli occhi sono estratti dalle orbite e, avvolti in trucioli, vengono poi rimessi al loro posto. La bocca viene riempita di foglie di bambù. Infine il teschio è riavvolto nella sua pelle e fissato su un palo eretto davanti alla siepe sacra.
Nel rituale dei Giliaki l’orso, tenuto in gabbia fino al giorno del sacrificio, è trattato come un ospite di riguardo e portato di capanna in capanna a spasso per tutto il villaggio. Poi viene scuoiato e la pelle è esposta sul palco d’onore e quasi venerata come una reliquia: la pelle, essi credono che mantiene l’orso in vita.
Per tre volte lo si porta in giro attorno alla casa dove gli si farà la festa, finché viene introdotto dalla finestra e mai dalla porta: l’intelaiatura della finestra viene preventivamente tolta (più o meno come si dovette abbattere parte del muro di Troia per far entrare il cavallo di legno in città) e l’orso è condotto al focolare dove viene messo a sedere al posto d’onore.
«Appena l’orso si è accomodato, chiudono l’apertura della finestra e, sulla sottile pelle di pesce che sostituisce il vetro, dall’esterno incollano la sagoma di un rospo, tagliata nella scorza di betulla. Sulla panca d’onore contigua, nell’interno della casa, viene posto un fantoccio di legno intagliato, vestito, che rappresenta un orso» (Frobenius).
Il più spettacolare e il più complesso dei riti della caccia all’orso è forse quello che in Finlandia era ancora in uso nel secolo scorso e che sopravvive tuttora presso gli ugri dell’Ob e i samoiedi. La caccia, l’uccisione, il trasporto al villaggio, lo smembramento e la consumazione dell’animale, hanno luogo secondo un cerimoniale mirante a discolpare i cacciatori di fronte alla loro vittima e ai loro stessi occhi.
L’orso ucciso, il cui nome è tabù (presso i Voguli, il nome dato all’orso dagli uomini non è lo stesso usato dalle donne), è trattato con deferenza. Le donne sono tenute in disparte per la maggior parte del cerimoniale, perché si teme che possano esserne sedotte. L’orso, anche da morto, rimane il più grande «procacciatore di miele» che esiste al mondo!
Di solito si ricostruisce lo scheletro dell’animale e si sotterrano le ossa al fine di permettere la sua risurrezione; il cranio viene sospeso su un albero, fuori della portata degli animali, oppure, come presso i Voguli, viene infilzato su un palo che, posto al centro del villaggio, ne costituisce il principale luogo di culto.
«Dopo l’uccisione di un orso, i Voguli e gli Ostiachi celebravano feste, con un complicato cerimoniale. Le feste potevano durare vari giorni, durante cui si eseguivano interessanti pantomime: gli spettacoli dell’orso. Le cerimonie si concludevano innalzando solennemente il cranio dell’orso su un albero, onde permettere all’anima dell’orso di tornarsene ai propri lidi per rinascere, e al fine di ottenere la riconciliazione con tutta la specie» (Paulson).
Presso i Lapponi la cattura di un orso era accompagnata da riti ed osservanze di vario genere e si concludeva con un cerimoniale culminante nei funerali di quest’animale, del quale si inumava la carcassa o si poneva la testa sopra un albero. Tutto ciò aveva lo scopo di ottenere il perdono dell’orso e quello della specie, nonché la rinascita o la risurrezione dell’animale abbattuto. L’orso, in quel caso, veniva considerato l’esponente dell’intera specie.
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Strane terre – l’Uomo si è andato facendo e disfacendo così: migrando alla volta dei paesi più strani dell’immaginazione, per andarvi a edificare i templi delle sue credenze, e credere, a dispetto di ogni evidenza credere ancora nelle cose più strane. Credere per es. di essere imparentato con l’Orso solo perché con l’Orso condivide il gusto del miele. Credere cioè che il Miele sia la Terra d’origine e provenienza comune a Lui e all’Orso. Credere di somigliarsi solo perché si condivide una stessa Fame.
Non so se è più strano crederci o far finta di avere cose ben più serie in cui credere. Una loro, sia pure ingenua, «filosofia» ce l’avevano gli uomini, prima che divenissero filosofi. Quella loro ingenuità era semplice e diceva che, se rincorriamo uno stesso desiderio, non importa se io sono un uomo e tu un orso: siamo «fratelli di latte» e questa nostra parentela, questa nostra «affinità gustativa», è un tempio innalzato alla memoria di Nostra Madre la Lontana, l’Orsa.
Solo questo sappiamo di Lei – solo quel poco che ci torna da certe strane somiglianze di antiche fantasie rimosse. Perché è così che sappiamo farci e disfarci – estraniandoci alle vecchie stranezze, ma solo per fare cose ancora più strane da cui quelle stranezze ci tornino arricchite d’un certo «plusvalore» o, in ogni caso, mascherate fino a divenirci irriconoscibili in modo da poterle conoscere di nuovo «a sorpresa», fingendo d’incontrarle per caso sulla nostra via, e di doverle imparare da capo. E di nuovo venerarle, come la prima ingenua volta che le venerammo.
Fingiamo di non sapere che ci andiamo facendo e disfacendo nella trama di mille ragnatele ma d’un solo Racconto – quello che solo di Venere racconta. E delle Sette Stelle dell’Orsa su cui i nostri sapienti progenitori innalzarono il primo tempio alla memoria della sua Luce Nera.
La luce di Afrodite Urania.
È un caso se, quella Sua più antica costellazione, tutte le lingue del mondo la chiamano Orsa? È un caso se tutte le culture paleoartiche di Europa, Asia e America, a Lei dedicavano la loro Festa maggiore? se Lapponi, Finni, Ostiachi, Voguli, Giliaki, Paleosiberiani del Nord-est, Aino, Eschimesi e Indiani del Nord-ovest (Tlinkit, Kwakiutl, Nutka e Algonchini del nord) «credevano» che l’Orso fosse il loro «fratello maggiore», l’Animale giunto fin sulla soglia dell’Umano, senza però averla mai passata?
Sarà pure una fantasia, una sciocchezza o una demenza – ma non per questo manca di una «struttura». E perciò se ancora di essa qualcosa ci «parla», non è la Mappa delle sue terre immaginarie, ma la simpatia che la rende dicibile anche nelle nostre lingue, e solo perché le nostre lingue «costruiscono» e «distruggono» sempre allo stesso «modo».
Modificandosi perché nulla muti.
Perciò, se pure variamente disegnata da un popolo all’altro, e diversamente verbalizzata da una lingua all’altra, proprio là dove è più «strana», più astrusa e per noi, a ragione, incredibile – l’immutata potenza della Metafora ci «parla» da sotto le credenze, le mode, le canzoni e le danze.
Parla, per es., dallo strano nome che le antiche cronache davano agli orsi: leib-olmak, ovvero «uomini degli ontani», figli di un misterioso Signore o nume tutelare, chiamato Leibolmai, «Uomo – ontano». Lo si trova rappresentato su certi tamburi magici fatti della sua pelle nelle sembianze ibride di un uomo–albero (probabilmente un ontano).
È l’uno e l’altro, senza essere pienamente né l’uno né l’altro. È una via di mezzo: è «tra l’Uomo e l’Ontano». È l’anello che li congiunge.
Un crocifisso, un torturato, un messo a morte di cui però si lascia in qualche modo sopravvivere la «testa», perché continui a dettare il suo testamento: c’è da supporre che lo può raccogliere solo un vivo che sappia parlare una lingua la cui prima lettera si estinse con l’avvento dell’alfabeto.
Solo un animale talmente paradossale da avventurarsi nel sacrificio parricida – nella rimozione e, insieme, nel ritorno periodico dell’antenato rimosso.
Perché quando «torna» l’Orso – torna l’Uomo della Foresta, torna l’Antico Signore del Bosco, torna l’Animale rimosso …
VEGETALE | ONTANO |
ANIMALE | ORSO |
UMANO | UOMO |
… e con lui il Vegetale che fu suo Antenato.