Il Bello è niente

… il Bello è niente
altro che l’inizio del Terrificante e noi lo sosteniamo
e noi l’adoriamo, a volte, solo perché
lasciato essere esso disdegna
di finirci tutti: ogni Angelo è terribile
(Rilke, Prima Elegia)

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Forse conviene partire da qui.
Per quanto assurdo possa sembrare, forse è dal Gatto e dalla Volpe che si può risalire alla maschera dello sciamano: alla maschera di quel «teatro» che, se mai fu, fu prima del Teatro. Di quel «teatro» alle cui origini solo una pazziella ormai ci può orientare.
Una pazziella, hai capito bene. Niente di serio, niente di utile per il sapere che sa e, soprattutto, che padroneggia le sue «scienze».
Una pazziella a farci catturare noi dalla Maschera, a farci mascherare noi dai suoi sortilegi, invece di affannarci nell’impresa di dover smascherare non si capisce quale sua «verità».

maschera-sciamano-3Vola, lo sciamano. E per fingere di volare realmente, o per realizzare questa sua finzione (dal punto di vista teatrale non fa differenza), si traveste da uccello. Gli danno del matto, quelli del villaggio. Lui dice che vuole levarsi fino ai rami più alti degli alberi, perché lassù la sua Dulcinea aspetta il suo usignolo. Da sempre. Dice.

Ci sono piume d’uccello sparse un po’ ovunque sulla scena. È che a furia di sbattere le ali, sciamani goldi e altaici, turchi mongoli e siberiani, si sono spogliati dei segni dei loro trionfi.
Facciamo fatica a comprenderlo: usavano il loro corpo per una ginnastica che non pratichiamo più, forse da millenni. Si arrampicavano sugli alberi volando da un ramo all’altro.
Dobbiamo crederci?
A ogni modo, era questo l’appello lanciato da Mauss: non ci dimentichiamo dei «gesti». I gesti parlano come le parole. Parlano un linguaggio di cui è difficile dubitare che sia più antico del «linguaggio verbale».

Ci sono piume d’uccello sparse a casaccio sulla scena.
Perciò siamo curiosi di sapere quale dei trenta uccelli di ‘Attâr sta per fare la sua apparizione. Magari la Sîmorgh in persona!
E invece … ecco entrare in scena Volpe Zoppa.
Più che zoppa, ce la dovremmo immaginare senza zampe, e perciò costretta a «volare» sulle spalle altrui. A scapito degli altri.
Non è un uccello, ma è condannato a non mettere piede a terra. A rimanere sospeso lassù, alla mercé dei venti o di un Gatto che se la carichi sulle spalle.

L’abbiamo detto: «l’uno sopra l’altro» è l’unico e solo sentiero che ci possiamo permettere il lusso di percorrere. Che si tratti dei racconti ammucchiati l’uno sull’altro in questa grande libreria di Babele che è il Racconto, o che invece si parli del vecchio Anchise sulle spalle del profugo Enea, o ancora: che si debbano incatenare con giusto criterio le frecce della Metafora dirette alla loro «radice» rimossa – ovvero dalla più piccola in alto, a scalare verso il basso – o che ci si debba soltanto arrendere alle mille e una narrazione di Shahrazâd, il trucco è sempre quello.
Nessun frammento parla da sé. Nessun anello fa una catena. Nessun racconto può raccontare da sé il senso di ciò che racconta.

SimorghE dunque, se la cosa è chiara (si dice che a buoni intenditori poche parole), la mossa successiva della pazziella non può essere che quella teatralizzata da Collodi, a sua insaputa?, nel solco dell’antica coppia mitologica del Cieco e del Mutilato.
Ovvero: la messinscena simultanea di due «infermità», di cui la prima è così diabolicamente «mostruosa», così «truce» dice Tito Livio della maschera che Orazio il Ciclope sbatte in faccia agli Etruschi, da far passare nientemeno per eroica la «mutilazione» del suo compare.
Che cos’è in fondo un falso giuramento, una parola data e non mantenuta, una promessa pattuita – cos’è? in confronto alla mostruosità del Lupo, che vuoi che sia una piccola innocente bugia?

Mettendoli assieme, Cervantes scongiura che la «bugia» di Don Chisciotte ricada altro che su Sancio Panza.
Voleva raggiungere la sua Dulcinea tra i rami dell’albero più alto della sua fantasia. Perciò cantava l’usignolo.
Ma era usignolo solo nella voce, solo nel canto.
Le ali, le aveva avute.
Per un istante aveva volato.
Lo provano le piume sparse a lui intorno sulla scena.
Ora però è più spelacchiato lui che Ronzinante. Ora lo sciamano s’è spogliato dei segni del suo antico unico trionfo.

Lo sciamano trionfò solo quella volta che lasciò essere il bello.
Quella volta che lo lasciò essere «mostruoso». Anzi: due volte mostruoso, alla dritta e alla rovescia.
Lasciò che il Mostro lo terrificasse (sto pensando a Ulisse nella grotta di Polifemo) a tal punto da costringerlo a «mentire».