A proposito di crudeltà – pardon, trattandosi di racconti, mi correggo: a proposito del Teatro della crudeltà, se c’è una scena che fa al caso nostro è di sicuro quella della «nascita e morte e risurrezione» di Zagreo (il «doppione» cretese di Dioniso, forse il suo «antenato» di età minoica).
C’è chi dice (e a ragione) che di «crudeltà» sì ce n’è abbastanza, ma non tanta quanta ce n’era nelle pantomime sciamaniche di tempi più remoti.
Sarà, ma tu prova lo stesso a immaginare la scena!
(Intendo la scena di Zagreo ucciso ancora in fasce dai Titani).
Gli attori, coi visi spalmati di gesso, s’avvicinano furtivamente alla culla. Il piccolo Dioniso è sveglio. I fantasmi bisbigliando lo circuiscono: alcuni lo trastullano, altri gli danzano intorno, certi gli hanno portato in dono trottole e dadi, un altro ancora, tutto solo, avanza verso la culla.
A passo lento. Volto ieratico. Quando è sopra il bambino, tira fuori uno specchio e glielo mette dinanzi alla faccia. Per attirarne l’attenzione, simula con la bocca un cinguettio d’uccelli.
E quando l’ha così fuorviato: «Tu sei questo!», gli dice avvicinandogli lo specchio al volto.
Tu sei questo!
Glielo dice una, due, tre volte. Poi si unisce ai compagni che danzano. Danza pure lui, agitando in alto lo specchio.
A ogni giro che il coro dei danzatori compie intorno al culla, il fantasma si ferma sopra il bambino e con voce sempre più severa gli ripete: «Tu questo sei! non sei che questo!».
Solo questo, a ogni girotondo compiuto glielo ripete: Sei solo questo!
E poi al termine di uno di questi giri, improvvisamente s’avvicina e gli grida: Sei solo questo, perciò adesso devi morire!
L’uccidono e lo fanno a pezzi, c’è chi dice che se lo mangiano crudo (se no, che razza di crudeltà sarebbe), altri invece che lo fanno arrosto.
Non è solo una questione di stile: l’«animale», il «disumano» dev’essere sbranato, dopodiché l’animale se lo mangia crudo, mentre l’uomo se lo cucina, preferibilmente a fuoco lento.
Della serie «animale, animale, umano».
Una volta che l’hanno ucciso, i fantasmi dai volti di gesso pensano: «Ormai è fatta! Il bambino più non tornerà a minacciarci!».
Ma in che cosa si sentano «minacciati» (e poi da un bambino!), questo lasciano a noi indovinarlo.
D’altronde, non è il solo rebus che ci lasciano.
Fine della «crudele» Sceneggiata!
Va da sé che, qualunque commento aggiungiamo, è solo un alibi, solo una scusa per non guardarla in faccia, per aggirarla, la «crudezza» della scena.
Possibile che un «dio», e per giunta appena nato, un bambino inerme e innocente, debba finire in pasto ai Fantasmi della Casa, senza che nessuno, dico nessuno, venga a difenderlo?
Crudeltà, non so fino a che punto «teatrale»: il divino che è nel neonato dev’essere fatto a pezzi e pezzo per pezzo deve essere divorato. Organo per organo il corpo di ogni povero cristo dev’essere visitato dai Fantasmi della sua Tribù.
Addentato, morso, lacerato, straziato nel corpo.
Perché il suo corpo diventi un organo del Corpo della Tribù.
Tutti i Fantasmi, uno per uno, lo devono ingoiare: c’è il Lupo, c’è la Balena, c’è il Drago. In fila indiana. Sono uno più famelico dell’altro.
Domanda: ma allora Dioniso «muore», il «divino» Zagreo è annientato che è ancora nella culla?
Se è così che la Sceneggiata finisce, se essa non osa «annacquare» quel poco che riesce a sceneggiare, se solo questo essa si propone: di mettere in scena la crudeltà e nient’altro – allora sta a noi soltanto decidere se il dio è morto o sopravvive alla fame dei Titani.
Il Racconto, si sa, ha sempre da raccontare un «dopo». Anche dopo la morte, il Racconto non si tira indietro, il Racconto ci si avventura. In fondo, il Racconto – almeno nelle forme romanzate con cui è giunto fino a noi – è «troppo umano» per arrendersi a un finale così «tragico».

Deve tirarci fuori, tirando Se Stesso fuori da quella «animalità nuda e cruda» che di certo i rituali sciamanici non disdegnavano – se non altro, perché c’erano immersi dentro – e che ancora traspare dal linguaggio liturgico e dai costumi di scena dei Misteri greci.
Che la tragedia stessa sia, lo dice la parola, il «canto di Capri», la dice lunga sulla resistenza millenaria del «bestiale» nel nostro immaginario ancora in età storica.
Se il Teatro della crudeltà aveva in mente qualcosa, forse era proprio a questo che mirava, almeno negli intenti di Artaud: a riportare il «nudo e crudo» in primo piano, per riconoscerlo e magari affrontarlo, invece di continuare a relegarlo sullo sfondo, quando non dietro le quinte – il che non fa altro che inimicarcelo e rendercelo sempre più oscuro.
La storia greca attesta che Dioniso è stato più che vivo. Altro che morto! E poi, dice il Racconto (quello del «tarallucci e vino»), il bambino non era così solo e abbandonato. È vero, sua madre era morta – il bambino era un orfanello, e tuttavia aveva la sua buona stella.
Aveva dalla sua parte la fata più sapiente di cui il Racconto abbia mai saputo raccontare. Aveva dalla sua la dea di Sais, l’antica Sophia, la Regina di sapienza: Atena.
Così il Racconto dice … e ci consola.
Dice che, allorché fu fatto a pezzi, di nascosto la dea riuscì a sottrarre al banchetto dei Titani il cuore del bambino.
Dice che Atena lo rubò ai Fantasmi e lo nascose «dietro il suo velo». Se lo nascose sotto le sette vesti delle sue «scienze umane». Perché soltanto l’uomo che avesse avuto scienza dei suoi sette veli, sapesse da che parte cercarlo.
Sotto le vesti della civetta si nasconderebbe, a quanto pare, il segreto della risurrezione.
Della sequenza «animale, animale, uomo»: animale nasce e animale muore [il neonato] – se rinasce, allora sì che è uomo!
Il segreto del primo battito del cuore d’ogni bambino appena nato, la dea lo serba a quell’altezza immaginale a cui il corpo è il «tempio» in cui si compie il crudele sacrificio, e insieme è anche la vittima immolata al dio Animale, al dio che ha Fame, al dio che è Fame [di Lupo, di Balena, di Drago ecc.].
Lassù, un bordone suona la canzone dell’Eterno Femminino, della Madre eterna: sta a lei, Sophia la Misericordiosa, ricomporre i «pezzi» del bambino. Di quel solo pezzo sottratto ai demoni, il «cuore indiviso», sta a Lei fare la pietra d’angolo del nuovo tempio, del Corpo Risorto alle sette «scienze» di Se Stesso.