Apollonio Rodio – Argo al passo delle Planctai

scilla-cariddi

Da un lato sporgeva lo scoglio liscio di Scilla,
dall’altro rumoreggiava Cariddi con scrosci infiniti;
altrove ruggivano, sotto gli enormi marosi, le Planctai,
e là dove prima era scaturita la fiamma
dalla cima degli scogli, sopra la roccia infuocata,
l’aria era scura dal fumo e non si vedevano
i raggi del sole. E anche allora, sebbene Efesto
avesse smesso il lavoro, il mare esalava un caldo vapore.
Da tutte le parti arrivavano le Nereidi:
e la divina Teti, da dietro, prese il timone
per guidare la nave in mezzo alle Planctai.
Come quando nel tempo sereno i delfini
girano in branco attorno a una nave in cammino
e si mostrano ora davanti, ora di dietro
e di fianco, e allietano i marinai,
così le Ninfe correndo giravano in folla
intorno ad Argo, e Teti dirigeva la rotta.
Quando già stavano per toccare le Planctai,
alzarono sulle bianche ginocchia le vesti
e, dividendosi dall’una parte e dall’altra,
balzarono sopra le rocce e sulla cresta dell’onda.
La corrente investiva Argo di fianco, e attorno i violenti marosi,
levandosi in alto, s’infrangevano contro le rupi,
ed esse ora s’innalzavano al cielo come montagne,
ora stavano giù, sommerse dentro il profondo,
e si stendeva su loro l’enorme onda selvaggia.
Come fanciulle che sulla riva del mare,
con le tuniche avvolte sui fianchi, giocano a palla
e la ricevono l’una dall’altra e la mandano
in alto, senza toccare mai terra, a questo modo
ora l’una ora l’altra spingevano in corsa
la nave alta sopra le onde e sempre lontana
dalle terribili rupi, attorno a loro
ribollivano l’onde muggendo. Anche il dio Efesto
stava ritto in piedi a guardarle dall’alto
della montagna scoscesa, appoggiando la spalla robusta
sul manico del martello, e dal cielo lucente
anche la sposa di Zeus abbracciata ad Atena:
tale fu il terrore che a quella vista la colse.
Di quanto tempo s’allunga la giornata di primavera
altrettanto le Ninfe faticarono a far uscire la nave
dalle rupi; poi ebbe vento propizio e corse in avanti.

(Apollonio Rodio, Argonautiche, 4: 922-963)