Burkina Faso – L’antilope e la lepre

antilopeL’antilope Njaka aveva una figliola bellissima e, poiché molti pretendenti aspiravano alla sua mano, prese questa decisione.
«Darò mia figlia in sposa – disse – solo a chi di voi mi porterà il latte di una bufala, la pelle di un leopardo e la zanna di un elefante».
Anche Somba, la lepre, l’udì e pensò tra sé e sé: «Non è poi così difficile!».

Si preparò pertanto una pappa di semi d’erba e sale, la mise nella bisaccia e andò nella macchia dove sapeva che avrebbe trovato i bufali.
Lo vide la bufala Padere e gli chiese: «Dov’è vai che di corsa?».
«Corro – rispose Somba – a cercare un posto dove assaggiare in santa pace questa medicina che ho qui con me. A quanto si dice, deve avere un buon sapore».
«Ne voglio anch’io! – disse prontamente Padere. – Dov’è che l’hai trovata?».
«Lì, in quel baobab – rispose Somba, indicando l’albero di fronte. – Purtroppo non ne ho potuta raschiare via più di tanto coi miei denti. Perché non ci provi tu con le tue corna? Potresti fare un bel buco nella corteccia e prenderne quanto ne vuoi, perché la cavità dell’albero ne è sempre piena».

Senza farselo dire una seconda volta, Padere abbassò le testa e si lanciò di corsa contro il baobab. Voleva rompere la corteccia, ma finì per inchiodarvi le corna. Voleva poi ritirarle, ma si era avventata con tanta energia che non poteva più staccarsi dall’albero.
Mentre era così immobilizzata, Somba subito ne approfittò: si avvicinò con una zucca e munse il latte dalle sue mammelle finché non l’ebbe riempita.
Portò poi la zucca a Njaka e disse: «Bene, la prima prova che mi hai chiesto, l’ho superata».

Poi Somba andò dal leopardo Abaga e gli chiese: «Ti va di accompagnarmi? Vorrei andare a fare un bagno».
«Dammi il tempo di mettere un po’ d’ordine tra le mie cose, e vengo», rispose quello.
Si diedero appuntamento al lago, di lì a poco, e andarono ciascuno a casa sua: Somba vi andò a riempire la bisaccia di pepe rosso, Abaga a mettere a posto le cose in disordine.
Si trovarono poi al lago, si tolsero i vestiti e scesero nell’acqua.

Quand’ebbe nuotato un po’, Somba disse: «Che scemo! Mi sono scordato di togliermi questa cosa di dosso! Corro a metterla all’asciutto!». E con questa scusa tornò sulla riva, aprì la bisaccia e col pepe che s’era portato appresso strofinò la pelle del leopardo. Poi tornò a nuotare.
lepreQuand’ebbero finito il bagno, Abaga e Somba si rimisero i vestiti. Subito però Abaga sentì un gran prurito. Somba, dal canto suo, fingendo di non sapere cosa ci fosse nella bisaccia, l’annusò e disse di sentire una gran puzza.
«È venuto qualcuno a mettere qualcosa nel mio sacco», disse.
E Abaga: «È la stessa cosa che è venuta pure nella mia pelle. Neanch’io posso indossare più il mio vestito».
Somba disse: «Devo lavare la mia bisaccia».
E Abaga: «È la stessa cosa che devo fare pure io col mio vestito».
«Lascialo a me! – disse Somba. – Lo pulirò assieme al mio sacco».
Abaga gli lasciò il suo vestito e se ne andò. Somba lo prese e lo portò a Njaka: «Bene – le disse – anche la seconda prova, l’ho superata».

Somba corse allora nel territorio degli elefanti e, messosi a sedere vicino a Uobogo, l’elefante più grosso del branco, stette a fissare il cielo con gli occhi spalancati, di tanto in tanto scuotendo la testa come per meraviglia.
«Com’è bello!», diceva.
Uobogo, incuriosito, guardò pure lui in alto, ma siccome non vedeva nulla di strano domandò a Somba che stesse guardando. E Somba rispose: «Scusami, se non ti ho salutato, il fatto è che sono tutto preso da quella meraviglia lassù in cielo».
L’elefante alzò di nuovo lo sguardo al cielo, ma continuava a non vederci nulla di meraviglioso.
«Come? – disse Somba – non vedi nulla?».
Uobogo si rivolse allora agli altri elefanti: «Vedete voi qualcosa lassù?».
«No, non vediamo niente», risposero quelli.

Allora Somba disse: «Se la non la vedete, dipende dalla vostra mole: siete grandi e grossi, ma avete occhi in proporzione piccolissimi, mentre io, così piccolo, sono fornito di occhi molto grandi. È un problema però che si può risolvere! Basta che saliate tutti l’uno sulle spalle dell’altro. E se il più grosso di voi sale in cima, sulle spalle dell’ultimo, lassù non solo potrà vederla, la cosa meravigliosa, ma perfino prenderla».
Gli elefanti furono entusiasti della sua proposta, e subito salirono l’uno sulla schiena dell’altro. Formarono così una grande scala, una colonna alta fino alla volta celeste.
In cima a tutti salì Uobogo, il più grosso di tutti.
Fu in quel momento che Somba mise un tizzone ardente sotto la zampa posteriore dell’elefante che reggeva la colonna, e quello sentì un tale dolore che non poté trattenersi dal fare un passo in avanti.
Immediatamente la torre oscillò e il più grosso Uobogo che stava in cima, cadendo, si ruppe una zanna.

Mentre gli elefanti litigavano tra loro, prendendosela col poveraccio che stava di sotto, Somba afferrò la zanna e andò a nasconderla nella macchia.
uccellino-ramoUobogo, appena si riprese dalla caduta, si mise in cerca della zanna rotta, ma non riusciva a trovarla. Un uccellino che stava su un albero lì vicino aveva però visto tutto e disse a Uobogo che stava cercando nel posto sbagliato, che era stato Somba a rubargli la zanna.
Uobogo però non comprendeva la lingua degli uccelli e Somba si prese gioco di lui: «Quell’insolente di uccellino – disse – sta ridendo alle tue spalle».
La cosa fece infuriare Uobogo che, senza esitare, si lanciò con gli altri elefanti alla caccia dell’uccellino.
Era quello che Somba aspettava: andò nella macchia, prese la zanna e la portò a Njaka, dicendole: «Bene, ho superato anche la terza prova. Ora, devi darmi tua figlia».
Njaka disse: «È vero. Mi hai portato il latte di bufala, la pelle di leopardo e la zanna d’elefante, ma mia figlia non posso dartela. Tu sei, e l’hai dimostrato, straordinariamente saggio. Anch’io sono un animale molto saggio; perciò, se le nostre famiglie si uniscono e nasce un figlio dalle nostre due schiatte, sarà saggio come Wende (Dio) e questo non andrebbe bene. Perciò mia figlia non te la posso dare!».