Che giorno triste fu quello in cui il fuoco fu rubato e nascosto sopra le nuvole! Tutti gli animali dicevano di volerlo andare a recuperare. Ma da che parte andare?
Per fortuna il fuoco aveva lasciato una traccia del suo passaggio: alzando lo sguardo al cielo, gli animali potevano ancora vedere una macchia nera. Era qualcosa come una «bruciatura». Era chiaro: era di là che dovevano passare.
Ma come arrampicarsi lassù, questo era il problema.
A nessun animale è dato innalzarsi, da solo, sopra la sua bestialità!
Il problema, se sorge, è sempre all’orizzonte di un «solitario» che sorge. Il problema, nel Gruppo, tra la Gente, in mezzo alla Tribù, irrompe invece che è già «risolto». Il problema inizia che la soluzione c’è, c’è l’oggetto del desiderio, l’oggetto è sempre là: «sublimato» e «impacchettato», pronto per l’uso, ma appartiene in esclusiva al Gruppo – di modo che è sempre e solo il «soggetto» che, per una qualche sua ragione, per un «difetto» o una «debolezza», manca dei requisiti necessari a scioglierne il nodo.
Il «fuoco» è lassù sopra le nuvole. Ciò che tutti gli animali desiderano, il fuoco condiviso di tutti i loro desideri, il «terzo cielo» di tutti i loro aneliti, ciascuno lo vede, lo sente, ma … da solo non può toccarlo!
Nessuno, da solo, arriva fin lassù.
Bisogna arrampicarsi l’uno sull’altro. Salire si deve (e qui sta il «trucco») sulle spalle di un «antenato» (diacronia) e, insieme, di uno spasimante (sincronia).
L’uno sull’altro bisogna ammassarsi.
Bisogna farsi massa – per risalire alla «radice» del problema e ravvivare il fuoco che, per colpa di quella «radice», si è spento. Risalire, se necessario, fino al «cielo perduto», fino a quella «ferita» che ancora «brucia» (sapessi come brucia!) alla Via Lattea.
Ecco perché l’uno sull’altro ci ammucchiamo nella Festa.
Siamo un popolo, una tribù – e ogni nostro attributo, tutti i ruoli e i modi, i posti e i ranghi, che la Festa distribuisce tra noi, non sono che un problema, uno solo, e già risolto. Ma così risolto che si fa prima a dire «inesistente».
Non esiste che la Tribù non possa più accendere il fuoco.
Se l’uno sulle spalle dell’altro ci arrampichiamo, il fuoco non mancherà alla Tribù. Esso è là, a portata di cielo, bisogna solo che i «contribuenti», a uno a uno, si assoggettino alla missione di andarlo a riprendere.
Il Racconto della Tribù, di qualunque tribù, lo conferma: quel fuoco, la Madre di tutti i fuochi, una volta era a portata di mano, poi – per una certa disgrazia, il più delle volte per via di una fanciulla avida di sposi e affamata di radici – andò perduto.
Il paradiso, la Casa della Nonna nel bosco, la Capanna del Fuoco Perenne e Inestinguibile … non sono che immagini del «perduto».
Il problema sorge là dove si accusa una «perdita».
Il problema è la Nostalgia del «perduto». Qualcosa a qualcuno manca dopo l’abbondanza.
Qualcosa che era vicino, adesso è caduto nella lontananza.
Nessuno, da solo, può riconquistarlo. Ma se tutti gli animali scoccano l’una sull’altra le frecce delle loro aspirazioni – allora sì che la Macchina funziona. Funziona solo se fa massa. E funziona ancora meglio se la massa fa festa.
Allora, è la macchinazione condivisa delle loro «energie», a elevarli al di sopra della loro «animalità».
È la Macchina della Festa – la Macchina del Popolo, a sublimarle.

Il Popolo, la Tribù, la Gente, non ha problemi a riconquistare il «perduto». La Macchina Sociale, i problemi li crea ai suoi membri.
La sera del dì di festa, alla Festa non manca niente e nessuno: neanche il timido poeta, che se ne tiene in disparte. La Festa produce anche la sua «timidezza». Non solo la gioia di quelli che cantano e ballano in piazza e, a quanto pare, se la spassano.
La Festa «macchina» i presenti, ma anche gli assenti.
La Festa è il «fuoco» di tutte le macchinazioni. Il «cuore» da cui e a cui tutte le vene pulsano per attingere o pagare un tributo di «realtà».
La Madre di tutti i fuochi s’è spenta, perché è stata così golosa da divorare anche la «radice» dell’Albero di cuccagna.
La Festa ha incatenato le energie che essa stessa ha scatenate. La Festa si è compiaciuta di consumarle, mentre le produceva – le emozioni indotte ai festaioli.
Ogni animale, quando finisce la Festa e se ne torna solo a casa, può però esserne stato così preso, così padroneggiato, così sedotto, così soggiogato (con le buone o con le cattive maniere) che qualcosa, di quelle emozioni, gli resta.
Gli rimane appiccicato addosso, ciò che del fuoco della festa non si è del tutto estinto.
Una nostalgia gli rimane del «perduto». Ma da solo non ce la farà mai a riconquistarlo. Ha bisogno di salire sulle spalle di un altro. Ha bisogno, perciò anzitutto, di apprendere a offrire la sua spalla all’altro.
Una scala di frecce conficcate l’una sull’altra contro la volta celeste, senza lasciare tra loro la più piccola fessura. Ecco cosa ci vuole!
Ma una volta costruita la scala, disse lo stregone, questo è davvero difficile: temperarla in modo che non avanzi neanche lo «scarto di un pelo». Per non insanguinarvi le zampe, bisogna che vi leviate in volo per trascendere le frecce acuminate che fanno da pioli alla scala.
Saper camminare sulle acque, ecco l’attitudine richiesta all’arciere, secondo l’iconografia di mille racconti, sacri e non.
Chi va per mare, deve guardarsi dal naufragare nel richiamo delle Sirene che dagli scogli gli salmodiano addosso un incantesimo.
Povero colui che resta schiacciato sotto il peso della sua dottrina!
Dove l’orso non riesce, dice il Racconto, l’uccellino ce la fa.
Sì, papà Orso è troppo pesante e poi, ghiotto di miele com’è, ha il vizio di deviare nel bosco in cerca d’alveari.
È invece il più piccolo degli uccelli, il più umile, il più anonimo, e proprio per questo il più immacolato, che può riuscire là dove l’orso è votato al fallimento.
Poiché è talmente piccolo «da non poter essere riempito», e così leggero da poter, come piuma, liberamente andare dove soffia il vento.
La catena di frecce si regge sul più piccolo e, insieme, il più volatile e il più insignificante dei «segni» che la nostalgia del fuoco perduto ha scritto e riscritto mille volte sulla pelle dei nostalgici.
Si regge solo se fa perno sul più acerbo, sul più stolto, sul più infantile dei desideri – perchè è il solo che ha lo slancio dell’Inizio, il solo all’altezza dell’Inizio, il solo che ancora, il suo inizio, lo desidera in modo iniziale.