La Macchina della Festa

danza-grecaMa sarà vero quello che dice Kerényi? che la Festa celebra l’«avvento» di una divinità, il suo periodico «avvenire» tra gli uomini?
O è l’avvenimento che la Festa produce, a far «avvenire», si dovrebbe però dire: a mettere in moto, una Macchina della cui potenza, e dell’«energia» che la sostiene e la percorre da un capo all’altro, non si può forse rendere meglio l’idea che chiamandola «divina»?
La questione non è di lana caprina: si tratta di decidere, e non è poco, se è la «divinità» a macchinare la Festa o se, viceversa, la «divinità» non è che una delle tante macchinazioni (una volta si chiamavano «demoni») di cui la Festa «invasa» i festaioli.

La Festa «eccita», chiama all’adunanza un gruppo, per scatenare prima e rincatenare poi un’energia che non è l’addizione né la moltiplicazione delle energie dei singoli membri, ma loro sincronica trasformazione elevata a una potenza che trascende ogni individualità. A una Potenza che è sì «personale», la cui «persona» però è trans-individuale. Esiste in quanto s’è accesa una sua scintilla «tra» due o più individui.
Quale che sia il fuoco che poi ne divampa, che sia di breve o di lunga durata la sua fiamma, questa Potenza nasce solo dalla loro «relazione».
Perciò, se vuoi chiamarla Spirito, scordati l’aggettivo «assoluto». Ma se non hai paura a chiamare le «cose» col loro nome, chiamala Potenza Fantasmatica della Macchina Sociale.

Mi domando se, non dico un «dio», ma una qualunque idea di «dio» è mai pensabile, e soprattutto comunicabile in seno a una comunità, prima della Festa? prima che questa comunità sia chiamata a un’adunanza «festiva», in cui collaudare il «Movente», nonché i «motivi», della sua convivenza.
È la stessa questione che, a modo suo, pone a dio Mefistofele nel Prologo in cielo del Faust: «ti farebbe certo ridere il mio pathos – gli dice – se tu non l’avessi persa, l’abitudine di ridere».
Come dire: non mi lasceresti andare da solo, come un povero diavolo, alle Feste degli uomini. Ci verresti pure tu, come ai bei tempi d’una volta! Ti ricordi come ce la spassavamo?

Se la Festa è l’accadere di un «dio», come può dio mancare all’appuntamento e ozioso starsene per i fatti suoi sopra le nuvole?
Se viceversa un «dio» accade solo perché è la Festa a farlo accadere, allora sarà facile a Mefistofele spacciarsi lui per il padreterno: che razza di «dio» è mai questo, che ha bisogno di essere festeggiato per «esistere»?
Comunque vada, il diavolo l’avrà avuta vinta!

Mefistofele-diavolo

Kerényi dice: il dio o la dea irrompe nella routine di un «animale», e lo viene a «eccitare» in modo da strapparlo alle diavolerie della sua «natura animale» e farne poi quell’animale «speciale» che è la Specie Umana.
Dice che è il dio o la dea a istituire la sua Festa. Perché il dio vuole «accadere» in mezzo a noi uomini. Vuole «avvenire» a noi, nel cuore della nostra natura bestiale, per guidarci all’«umanità». Per «creare» l’Uomo traendolo dal fango della sua stessa «bestialità».

Kerényi non prende in considerazione l’altra possibilità: che sia cioè la Festa a produrre e liberare i suoi Fantasmi «speciali», i suoi Idoli «collettivi», che sia essa, la Festa, a esaltarli fino a deificarli – essa a farli avvenire, e a crearli dal niente, essa stessa per prima a subirne il fascino e la dominazione, a sentirli capaci di asservire a sé e di sedurre insieme un intero gruppo, sciamando e distribuendosi per ciascuno dei suoi membri a seconda della sua singolarità, in ogni caso in modo del tutto aleatorio e casuale.

Forse fa bene Kerényi a scansare questi dubbi.
Del resto, dove ci porterebbero? A concludere per caso che non è l’Uomo a istituire la Festa, bensì la Festa a «generare» Se Stessa, quale Matrice di tutte le istituzioni umane?
Può mai essere che siamo solo il prodotto delle macchinazioni che la Festa ordisce da sempre alle nostre spalle? e che tutte le trame di tutti i racconti del mondo non bastano a coprire la «vergogna» di un così stolto inizio, qual è quello di noi umani, un inizio umilmente «meccanico»?
Un inizio «casuale» nella forma, ma destinato a ripetersi e a riprodursi «meccanicamente», e perciò a istituzionalizzarsi e ritualizzarsi, a conservarsi e durare quanto più a lungo possibile, quantomeno in una memoria, pur essa quanto più sacra possibile?

Forse fa bene Kerényi a non imboccare questa via.
Eppure, neanche lui può negare che, mentre l’Uomo festeggia i suoi dèi, ci pensa la Festa a fare la festa agli «animali» che la festeggiano, e a far sorgere dalle loro ceneri l’Uomo.
Ci pensa la Festa a «umanizzare» gli animali, a istituire cioè la Specie umana e la sua «specialità» di gruppo nel Genere animale.
Di animali usi a fare la festa ad altri animali, ce ne sono tanti in natura. Di cannibali e predatori, il mondo ne è pieno.
Solo la Festa dell’Uomo ha questa specificità – di arrampicarsi al fumo di un arrosto e d’innalzarsi fino alle Pleiadi dell’immaginazione, per non perdere di vista le anime delle sue «prede».

La carne brucia, perché quest’animale che è in attesa di mangiarla prolunghi la sua attesa magari all’infinito.
Il desiderio arde, perché quest’animale festeggi il rinvio della sua sazietà.
Sarà paradossale, ma è da questo paradosso che sorge l’Uomo.
E con ciò, eccomi a dire quello che, casomai in altre parole, dice pure Kerényi: quello che dicono tanti altri, niente di nuovo – eccomi dunque qui a ripetere che l’Uomo «nasce» nell’intervallo di tempo che la Festa frappone tra la fame e la sua soddisfazione. Che l’Uomo è solo un animale «in ritardo» sui suoi appetiti più bestiali.

Bene, se così stanno le cose e se, una volta compreso questo, ci affrettiamo alle conseguenze, temo che si faccia una gran bella fesseria «animale».
Suppongo che ci dev’essere ancora così tanta «umanità» da scoprire, ancora tanto tempo umano da estrarre da questo «intervallo festivo».
Metropolis-orologioNon si deve far altro che «festeggiare» la scoperta … ritardando le conclusioni (Michelangelo e il non-finito ti dice niente?).
Anziché passare avanti a discutere degli attributi dello Spirito Santo o degli dèi pagani, noi ci fermiamo qui.
Qui, in questo «intervallo d’insania» che la Festa ha illuminato nel bagliore di un istante – qui, invece di proseguire, noi ci fermiamo a scavare, e scavare, e scavare dentro.
Ci fermiamo ad attendere l’Uomo che vogliamo far venire in mezzo a noi. Per farlo avvenire, abbiamo solo da prolungare il desiderio del suo «avvento».

Non abbiamo paura a chiamarlo col suo nome: Fantasma.
Perché la Macchina questo produce: utopie deliri sogni e desideri, intrecci labirinti e vie traverse, sotterfugi e inganni, confessioni e tradimenti, gelosie imboscate e adescamenti, fango e ancora fango – qualcuno ha detto: luci dell’inferno.
La preda intanto brucia. Nell’attesa, a qualcuno gli è passata la fame. È diventato anoressico e vomita tutte le schifezze che l’ansia divora.
No, non andremo avanti.
Ci fermeremo qui a inventarci mille domande. Mille scuse, mille racconti: per favore, andate a chiamare Shahrazâd!
Abbiamo tempo da perdere.