Maya – La storia di Ixquic

L’albero sterile, l’albero che non dava più frutti, tornò a darli da quando i Signori di Xibalbá infilzarono ai suoi rami la testa mozzata di Hun Hunahpú.
La notizia di quest’evento miracoloso giunse un giorno all’orecchio di una fanciulla di nome Ixquic.
«Perché non dovrei andare a vedere quest’albero prodigioso?», si domandò. «Certamente, i suoi frutti devono essere molto buoni, voglio proprio assaggiarli».
E senza perdersi d’animo andò da sola nel bosco, e girò e rigirò tutta la notte finché non giunse ai piedi dell’albero.
Era appena arrivata, che subito allungò la mano per coglierne un frutto.

Ixquic-albero

Allora la testa mozzata che era tra i rami dell’albero prese a parlare: «Qual è il tuo desiderio? Questi che ti sembrano frutti, in realtà non sono che teschi». Così parlò alla fanciulla la testa di Hun Hunahpú. E aggiunse: «Forse ne vuoi?».
«Sì, ne voglio», rispose Ixquic.
«Benissimo», disse la testa, «allunga la tua mano destra fin quassù».
La fanciulla tese la mano, e la testa fece cadere qualche goccia di sputo nel palmo della sua mano.
«Nel mio sputo, io ti ho dato i miei discendenti», disse la voce dell’albero. «Coloro che muoiono non perdono la loro luce, ma la lasciano in eredità: nello sputo essi trasmettono ai figli la loro immagine. È quello che ho fatto io adesso con te. Torna dunque alla Terra dei viventi, va’ via – almeno tu – da questo Paese dei morti. Confida nelle mie parole, va’!».

Così disse la voce della testa di Hun Hunahpú, e la fanciulla se ne tornò a casa. Grazie allo sputo, lei aveva concepito, senza saperlo, Hunahpú e Ixbalanqué.
Dopo sei mesi, suo padre notò che era gravida e si rivolse ai Signori di Xibalbá: «Mia figlia è incinta», disse. «Mia figlia è una svergognata».
I Signori di Xibalbá gli dissero: «Costringila a confessarti la verità, e se rifiuta di dirtela, puniscila; falla condurre lontano e sacrificala!».
Il padre così fece. Interrogò sua figlia, ma poiché quella si proclamava innocente e diceva di non aver avuto rapporti carnali con nessun uomo, chiamò i quattro gufi e così sentenziò: «Mia figlia è una svergognata, prendetela e sacrificatela. Raccogliete il suo cuore in una zucca e portatelo ai Signori di Xibalbá».

I quattro gufi presero una zucca e un coltello da sacrificio, e si misero in cammino con la giovane.
Ixquic li implorò: «Non uccidetemi! Quello che porto in grembo non è frutto di peccato, ma lo concepii dallo sputo della testa di Hun Hunahpú, quando andai a mangiare i frutti dell’albero prodigioso».
«Noi vorremmo risparmiarti», risposero i gufi. «Ma che cosa porteremo al posto del tuo cuore? Che cosa metteremo nella zucca? Noi anche desideriamo che tu non muoia».
«Il mio cuore», disse la fanciulla, «non deve cadere nelle mani dei Signori di Xibalbá, il mio cuore non gli appartiene. Solo il sangue è roba loro, e solo il mio sangue dovete portargli. Raccogliete la linfa di quest’albero e fingete che sia il mio cuore!».

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Roberto Gonzalez Goyri – Ixquic

La rossa linfa che sgorgava dall’albero cadde da sé nella zucca, e i gufi ne fecero una palla luccicante che prese la forma di un cuore. L’albero produsse una linfa simile al sangue, dall’aspetto di sangue vero, che si coagulò e formò un luccicante involucro nell’interno della zucca, in tutto simile a sangue raggrumato. Da allora quell’albero rosso è detto «Albero del sangue».
«In quanto a voi – aggiunse la fanciulla – sarete amati e rispettati, per aver avuto pietà di me».

I gufi raccolsero la zucca piena della linfa dell’albero e la portarono ai Signori di Xibalbá: «Ecco il cuore della svergognata!», dissero.
«Fatecelo vedere», esclamò Hun Camé, il supremo giudice dei morti. E afferratala con un dito, sollevò la zucca. L’involucro si ruppe e ne colò sangue rosso brillante.
Fu acceso un fuoco e vi fu gettata dentro la zucca. I Signori di Xibalbá si avvicinarono per annusare e trovarono che il cuore era molto fragrante.
E mentre essi sedevano in profonda meditazione, i gufi, servitori della fanciulla, si allontanarono, volando via, dagli abissi del Paese dei morti fino alla Terra dei viventi.
Fu in questo modo che i Signori di Xibalbá furono sconfitti. Furono tutti ingannati dall’astuzia della fanciulla.