Il lapsus di Collodi

Da dove può essermi venuta in mente un’idea così stramba?
Mbò!!

Caravaggio_-_San_Gerolamo
Caravaggio – San Girolamo scrivente

Un vecchio falegname trova per caso un pezzo di legno. Lo trova in una catasta di legna da ardere: ma questa legna chi l’ha, e quando, tagliata e accatastata – questo non te lo so dire.
L’ho vista ammucchiata là, nella Casa di Mastro Ciliegia, e ora lascio a te, mio piccolo lettore, indovinare com’è potuto succedere!
Chiudi gli occhi e immagina!
Se il vecchio pensa di farne la gamba di un tavolino, è perché a casa sua dev’esserci un tavolino zoppo.
Un piano inclinato, una tavola traballante sul suo asse – a te dice niente?

A me dice che Mastro Ciliegia, di quel pezzo di legno, vuole servirsi per raddrizzare un torto, per rimettere in sesto la baracca – per pareggiare, insomma, una disparità.
Quella disparità che vorrei fossi tu, mio piccolo lettore, a indovinare. Chiudi gli occhi e guarda!
È la zoppia del mondo che, non solo della Casa di Mastro Ciliegia, ma di tutto il Racconto – a cui questo mio racconto si connette – è, per così dire, la «disgrazia iniziale».
In principio c’è qualcosa che non va!

Cos’è che non va, nel tuo mondo, mio piccolo lettore?
Mi ascolti? Parlo a te, uomo: parlo al bambino su cui sei cresciuto!
È a te che offro questo pezzo di legno, questo ramo tagliato dall’Albero del Racconto!
Vedi! come Mastro Ciliegia, è per te che a colpi d’ascia lo scorteccio, questo mio lapsus. Non faccio altro che levare (a costo di ferirmi una mano) la scorza alle parole, ed ecco … dal Racconto, subito, già al primo rigo d’inchiostro, una voce mi parla.
Un’eco umana mi giunge. L’eco di un «umano» tenuto prigioniero del «vegetale»! di un «umano» regredito così indietro da ritrovarsi nel Legno, nella «materia prima» dei suoi istinti naturali!

Albero-del-Mondo-InduismoCome vedi, mio piccolo lettore, ci vuole poco perché un racconto si trovi incantato, senza saperlo, nel ritornello di una vecchia canzone.
Di una canzone vecchia quanto il mondo.
Che del mondo canta la zoppia iniziale, che poi è tutto quanto essa ha da cantare!
Solo quel piano sghembo, solo quella Tavola inclinata!
Dai, chiudi gli occhi – e prova a indovinare!

Nientemeno, un pezzo di legno che parla! Una «voce», qualcosa dunque di «umano», si leva dal «vegetale».
La voce è lì dentro, sepolta sotto la sua corteccia naturale. Inascoltata, chissà da quando! Inaudita, sempre! in attesa ogni volta che un bambino la ri-senta. Che torni a farla vivere nel suo sentire!

È la voce del Racconto antico, del Racconto messo a tacere dal rumore del Vento che scuote le foglie del suo stesso Albero!
Perciò, mio piccolo lettore, dammi retta: se c’è qualcosa che zoppica nel tuo mondo, non hai che da togliere via il superfluo da questo mio e, insieme, da tutti i racconti in cui si racconta di un certo legno loquente. E sentirai pure tu la «voce» uscire a respirare l’«umanità» della Parola coperta dai rumori del Vento che soffia nel Racconto.

Hai sentito che dice Polidoro?
Dice che, per ingordigia d’animale, il re che l’ospitava aveva «tradito la parola data», tradito l’umanità – il patto umano dell’ospitalità, il sacro vincolo a cui con la parola ci leghiamo l’un l’altro nel nome dell’Uomo!
Ma di quale Uomo stiamo parlando, mio piccolo immacolato lettore, dimmi: di quale Uomo parla il Racconto se a raccontarlo [tramandarlo] è sempre il [traditore] sopravvissuto?
giuda-traditoreSempre uno che ha abiurato, sempre uno spergiuro, uno che ha rotto i patti, sempre e solo lui lo tramanda, il Racconto … sempre uno che l’ha piegato ai suoi appetiti, ai suoi porci comodi «dialettali».
Sempre, il sopravvissuto se l’è arrangiato alle sue nuove scale «tonali», ai suoi «gusti» e, perché no?, alla sua Etica!

Lo dice Polidoro e lo ripete Pier delle Vigne: fummo uomini, più non lo siamo dacché un «re» ci tradì.
Un «reggente» più non ci «resse».
Tradendo l’umanità della Parola Data, ci lasciò cadere nel vuoto aperto dal suo tradimento.
Rapì l’altrui e non donò niente di suo. Se lo tenne muto, non-detto, pietrificato nel marmo del suo trono, avido nel suo istinto naturale a mentire e, mentendo, ad alzare un muro di fiamme intorno a Se Stesso (complemento di luogo e di argomento).

Fu così famelico quel re fasullo, da fare a pezzi il Racconto dell’Uomo e poi darlo in pasto ai porci, perché porci tutti i pezzi del Racconto, a uno a uno, diventassero. O peggio ancora: per andarli a disseminare in un campo, tra i rovi pungenti e la sterpaglia, perché tra i sassi e le pietre taglienti per sempre si disperdessero.

Eppure, vedi?, a volte succede che un Mastro Ciliegia qualunque frughi nella legna accatastata nella Memoria di casa sua, ed ecco un ceppo gli capita tra le mani, un pezzo dispari, un «difettivo di parola» a cui però, basta scortecciarlo del superfluo, e la parola torna.
Eccome se gli torna!
Pinocchio è un chiacchierone!
Un analfabeta sapiente nella chiacchiera!

Tu togli via il superfluo dalle parole del Racconto, e vedrai se pure a te non resta solo la chiacchiera, solo il suo sapore. Solo la cantilena in cui, Orfeo, da bambino t’incantavi.
Ora, bambino, che sei stato fatto a pezzi, ora sta a te indovinare se fu una Maga a stregarti, una Fata Morgana, una doppia Sophia, una strabica Ginevra o Isotta, a investirti dell’ambiguità della sua oscura e insieme allucinante maledizione.

C’è qualcosa «detto male» nella catasta delle tue vecchie filastrocche.
C’è qualcosa che non va, qualcosa di sghembo, qualcosa che traballa nella tradizione che ti tramandi di un tuo vecchio tradimento.
Perché questo dice il Racconto. Ce lo dice subito, fin dall’inizio. Ci dice che un traditore l’ha fatto a pezzi, il Racconto. E che da allora, ogni racconto è solo un pezzo del Racconto. E che di quel solo pezzo il Racconto si deve accontentare, per dire di sé innanzitutto, per dire della fine che ha fatto da quando un animale ingordo in sembianze umane, ha preso il Racconto del Tradito e l’ha disseminato al vento.

Ma sai com’è, il Traditore immaginava d’averlo ucciso, di farla franca. E invece, basta che tu, mio piccolo lettore, scortecci appena le parole di questo mio racconto, e dimmi: non la senti pure tu?
«Non mi picchiare tanto forte!», dice quella voce.
Dice: «Fa’ piano! Usa l’Arte per estrarmi dal silenzio! Ma se l’Arte non ce l’hai – dice la voce – lasciami perdere oppure portami da un altro falegname! Conosci per caso un tale Mastro Geppetto? Lui sì che sa come dalla chiacchiera risuscitare lo spirito del Racconto».