Alle Signore degli indovinelli

A2NBAPLa Sfinge pose a Edipo il ben noto enigma. Gli chiese: «qual è l’animale che la mattina si regge su quattro gambe, in pieno giorno su due, e la sera su tre?».
La cosa curiosa è che l’indovinello, formulato con il ricorso all’immagine delle gambe, è rivolto a Edipo che, come dichiara il suo stesso nome, è un «piede nero».
È dunque all’enigmatica tribù dei Piedi Neri, all’affollata lista dei claudicanti (eroi e dèi indifferentemente), che anche Edipo appartiene: tutti sono, chi più chi meno, tributari solo d’un sorriso alla Signora del loro cuore.

Ed eccoli invece a fare i conti con l’indovinello. Eccoli a saggiare sulla propria lingua la «doppiezza» espressiva dell’inconscio.
Fateci caso! la Sfinge, come tutte le sibille del mondo, è «bilingue». Formula l’indovinello sul piano immaginario (le zampe di vario numero dell’animale), ma s’attende da Edipo una risposta sul piano simbolico della Parola. S’aspetta che Edipo conti le zampe «in senso metaforico», ovvero come «appoggi».
Va da sé che la soluzione riesce più facile a chi è «zoppo» di persona. Infatti, là dove gli manca l’«appoggio», egli è per così dire «portato a sostituirlo» con un altro. A sostituire per es. i «segni immaginari» suggeriti dalla Sfinge col loro uso «simbolico» (le zampe in senso proprio con gli appoggi in senso figurato).

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Piero della Francesca – Salomone e la Regina di Saba

Talora, invece, a essere zoppa è la stessa Signora degli indovinelli, la cui più celebre controfigura perennemente oscilla tra la regina di Saba e Turandot: il suo piede palmato o asinino ne fa, per così dire, il rovescio di Edipo.
Tanto per cominciare, non ha da sciogliere un enigma, ma da legare qualcuno, per es. Salomone, al suo enigma: qualcuno con cui condividere e parlare la «lingua delle api». Qualcuno con cui «fare miele».
Il piede palmato la tradisce: è figlia di Nonna Papera, resta solo da vedere se è una gru o una rana. Se il «fuoco» nascosto nell’indovinello le esce dall’ano o dalla bocca. Se la sua scintilla fa il rumore dei tric-trac, o se illumina appena il silenzio di un’alcova.

Edipo non ha da congiungersi con la Sfinge, ma con la soluzione dell’enigma che la Sfinge gli pone di fronte.
E questo che vuol dire – se non che Edipo si sottrae alla seduzione di chi ha di fronte, per ricongiungersi (lo sappia o non lo sappia) alla sola Donna delle sue fantasie amorose: sua madre? Cosa, se non che Edipo, come tutti i «solutori di enigmi», è dannato a fare l’amore (in senso metaforico) con la Madrelingua, e ad astenersi (in senso letterale) dal cogliere i «frutti» dello scambio simbolico con la Seduttrice?
Edipo risolve l’enigma senza lasciarsi sedurre. Lo risolve proprio grazie alla sua capacità di resistere alla seduzione della Sfinge.
D’altronde, la Sfinge è bene che si rassegni: non può sedurre che gli impotenti a decifrare i suoi indovinelli, ovvero quelli che non «trascendono» il piano immaginario delle sue provocazioni – quelli che le interpretano alla lettera: in carne e ossa.

TurandotDiverso è il caso di Turandot.
Lei, dal forte sa come estrarre il dolce. Sa che il Seduttore farebbe bene a non vantarsi delle sue «virtù amorose». Sa d’essere Lei, e non Lui, a detenere il «miele» di tutte le parole, ma anche e soprattutto, delle notti d’amore.
Sa che il «miele di Lupo maschio» è tossico. Sa che è veleno che solo Venere può rendere «commestibile».
Sa che, solo se tenuta a bagnomaria nella Camera rossa di Marte, la carcassa del «leone domato», un infinito sciame potrà allora generare di equivoci e doppi sensi. Solo quando sarà stato domato, il Leone immaginario sarà atto a giungersi all’altra sua «metà»: al suo volto di Donna. Al simbolo – e con esso, alla sua Chimera.