In principio gli uomini non si distinguevano dagli animali. Allora, di tutto il miele che c’era al mondo, il lupo era proprietario unico ed esclusivo. E mentre i suoi figli si abbuffavano di miele sin dal mattino, il lupo non ne dava agli altri animali.
Un giorno però la piccola tartaruga, la testuggine terrestre, bussò alla porta del lupo per mendicare un po’ di miele. Il lupo non voleva farla entrare, ma poiché la tartaruga insisteva, le concesse sì di bere il miele che colava da una zucca appesa al soffitto, ma a condizione che si sdraiasse sulla schiena con la bocca aperta.
Era un tranello. Infatti, mentre la tartaruga si rimpinzava di miele, assieme ai suoi figli il lupo accatastò della legna tutt’intorno al suo guscio, e appiccò il fuoco per mangiarsela appena fosse cotta.
La tartaruga però, come se nulla fosse, continuò il suo «pasto» e, quando ebbe svuotata la zucca di miele, si alzò tranquillamente, sparse la brace e disse al lupo che, ora, il miele lo doveva dare a tutti gli animali.
E poiché il lupo non voleva saperne, chiamati dalla tartaruga, accorsero gli altri animali e diedero fuoco alla casa del lupo. Il lupo, assunte le sembianze d’una pernice, volò via tra le fiamme, ma subito gli animali si misero al suo inseguimento. Quando però stavano lì lì per acciuffarla, la pernice riuscì a spiccare di nuovo il volo. Per vedere dove fosse andata, la tartaruga dovette salire allora sulla testa di un altro animale.
E di lassù – che vide? Vide la pernice trasformarsi in ape.
Gli animali si diressero allora alla casa delle api, il cui ingresso però era difeso dalle vespe velenose. Uno dopo l’altro, gli uccelli tentarono di entrare, ma le vespe li respingevano. Solo il più piccolo di loro, un picchio, riuscì a evitare gli spruzzi di liquido velenoso con cui le vespe l’assalivano, e finalmente prese il miele.
«Figlio mio – gli disse la tartaruga. – Ora abbiamo il miele, ma è troppo poco. Se lo mangiamo, finirà subito».
Sicché, raccolto il miele, la tartaruga lo divise in piccole parti e lo distribuì fra tutti gli animali, perché andassero a piantarlo ciascuno dinanzi casa sua e, quando poi fosse cresciuto in abbondanza, tornassero a consumarlo assieme a lei.
Gli animali andarono a piantare i semi di miele nel loro giardino, e stettero in attesa che maturassero. Un giorno, per vedere se il miele cresceva, il capo degli animali mandò i pappagalli a ispezionare le piantagioni. I pappagalli andarono e trovarono che il miele traboccava dalle piante.
Quando ne fu informato, il capo degli animali andò sul posto a vedere coi suoi occhi. Ispezionò le case degli animali e notò che molti di loro avevano consumato già tutto il miele del loro campo. Pochi di loro ne avevano a sufficienza: l’avevano sepolto a fior di terra in modo da poterlo estrarre alla svelta.
Preoccupato, il capo degli animali pensò: «Così non va bene. Se non troviamo un rimedio, presto non ci sarà più miele per nessuno». E radunati tutti gli animali, fece ritorno alla casa delle api per raccogliere dell’altro miele. «Stavolta – disse – ne prenderemo ciascuno solo il miele che riesce a trasportare nella sua zucca o in quale che sia il recipiente di cui fa uso. Il resto, lo lasceremo qui fino alla prossima volta».
(estratto da Lévi-Strauss, Dal miele alle ceneri)