Ovidio – La casa di Licaone

Mai fui – disse Giove indignato – più in ansia di ora per il dominio del mondo, neppure quando i mostri dai piedi serpentini si apprestavano, ciascuno con le sue cento braccia, a imprigionare il cielo … Come posso starmene tranquillo, da che Licaone, famigerato per la sua ferocia, ha lupo-mannarotramato contro di me che regno e impero sul fulmine e su voialtri dèi?… Egli veramente ha pagato il fio, non temete. Comunque, vi voglio raccontare cosa ha fatto e come mi sono vendicato.

Era giunta alle nostre orecchie l’infamia di questi tempi. Sperando che non fosse vera, mi calo dalla vetta dell’Olimpo e percorro la terra, dio sotto umano aspetto.
Inutile stare a elencare tutte le scelleratezze che trovai da ogni parte: quello che si diceva era nulla in confronto alla realtà. Avevo passato il Menalo spaventoso per tutti i suoi covi di belve, il Cillene e le pinete del fresco Liceo, quando giunsi alla casa, all’inospitale dimora del signore dell’Arcadia, mentre il crepuscolo portava ormai dietro di sé la notte.
Feci capire che era arrivato un dio, e il popolo si era messo a pregare. Licaone dapprima si fa beffe di quelle pie preghiere, e poi dice: «Voglio proprio vedere, con una prova infallibile, se questo dio per caso non sia un mortale; e lo accerterò in un modo che nessuno potrà dubitare».

Di notte, quando sarei stato immerso nel sonno, mi avrebbe ucciso a tradimento: era questa la prova che intendeva. Ma come se non fosse abbastanza, sgozza con una spada un ostaggio mandatogli dal popolo dei Molossi, e quelle membra ancor mezze vive in parte le lessa in acqua bollente, in parte le arrostisce alla fiamma.
Non fa a tempo a imbandirmele, che io con fuoco vendicatore faccio crollare su se stessa quella casa degna del suo padrone.
Lui fugge atterrito e, raggiunti i silenzi della campagna, si mette a ululare: invano si sforza di emettere parole. La rabbia gli sale alla faccia dal profondo del suo essere, e assetato come sempre di strage si rivolge contro le greggi, e anche ora gode a spargere sangue.
Le vesti trapassano in pelame, le braccia in zampe: diventa lupo e serba tracce della forma di un tempo. La brizzolatura è la stessa, uguale è la grinta rabbiosa, uguale il lampo sinistro negli occhi, uguale l’aria feroce.
Una casa è crollata, ma non una sola meritava di andare distrutta.

(Ovidio, Metamorfosi, 1: 182-241)