
Un giorno i compagni di Ulisse – come sapete capitarono loro mille disavventure, credo che quasi nessuno abbia finito il giro – furono trasformati, a causa delle loro tendenze incresciose, in porci. Il tema della metamorfosi è fatto proprio per interessarci, dato che pone la questione del limite tra l’umano e l’animale.
Dunque, sono trasformati in porci e la storia continua.
Bisogna proprio credere che conservino comunque qualche legame col mondo umano perché in mezzo al porcile – ma il porcile è una società – si comunicano a mezzo di grugniti i loro differenti bisogni, la fame, la sete, la voluttà, anzi lo spirito di gruppo. Ma non è tutto.
Che cosa possono dire questi grugniti? Non sono forse anche dei messaggi indirizzati all’altro mondo? Ebbene, ecco quel che io intendo. I compagni di Ulisse grugniscono questo: «Rimpiangiamo Ulisse, rimpiangiamo che non sia tra di noi, rimpiangiamo il suo insegnamento e quel che lui era per noi per tutta l’esistenza».
Da che cosa riconoscere che un grugnito proveniente da quella massa setolosa, accumulata nello spazio chiuso del porcile, è una parola? Da questo forse, che vi esprime qualche sentimento ambivalente?
In questo caso esiste veramente quanto, nell’ordine delle emozioni e dei sentimenti, chiamiamo ambivalenza. Infatti Ulisse era una guida piuttosto fastidiosa per i suoi compagni. Tuttavia una volta trasformati in porcelli hanno probabilmente dei motivi per rimpiangere la sua presenza. Da qui un dubbio su quel che comunicano.
Questa dimensione non è trascurabile. Ma è sufficiente per fare di un grugnito una parola? No, perché l’ambivalenza emozionale del grugnito è una realtà, essenzialmente infondata.
Il grugnito del porco diventa parola solo quando qualcuno si pone la questione di sapere quel che vuol far credere. Una parola è parola solo nell’esatta misura in cui qualcuno vi crede.
E che cosa vogliono far credere, grugnendo, i compagni di Ulisse trasformati in porci? che essi hanno ancora qualcosa di umano. Esprimere in questa occasione la nostalgia di Ulisse è rivendicare di essere riconosciuti, loro, i porci, come compagni di Ulisse.
È in questa dimensione che prima di tutto si situa una parola. La parola è essenzialmente il mezzo per essere riconosciuti. Essa è là prima d’ogni cosa che può esistere di dietro. E pertanto è ambivalente e assolutamente insondabile. Quello che dice è forse vero? Non è vero? È un miraggio. Questo primitivo miraggio vi garantisce di essere nel campo della parola.
Senza questa dimensione una comunicazione è solo qualcosa che trasmette, press’a poco dello stesso ordine del movimento meccanico. Poco fa evocavo i fruscii setolosi, la comunicazione degli scossoni all’interno del porcile. Ecco, è questo: il grugnito è interamente analizzabile in termini di meccanica. Ma dal momento in cui vuol far credere ed esige il riconoscimento, la parola esiste. Per questo motivo, in un certo senso, si può parlare di linguaggio degli animali. Esiste un linguaggio degli animali nell’esatta misura in cui esiste qualcuno per comprenderlo.
(Lacan, Il Seminario: 1)